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Due ore, cinque minuti e dieci secondi: è il tempo che il kenyota Samuel Wanjiru impiegò per arrivare primo al traguardo nella maratona di Londra nell’aprile 2009.
Tredici giorni: è il tempo che impiegò il maggiore Phil Packer, un militare inglese divenuto paraplegico dopo un incidente alla spina dorsale, a completare la stessa maratona, arrivando ultimo su trentaseimila concorrenti. Questa grande impresa di perseveranza raccolse oltre 600.000 sterline (circa €700.000) per beneficenza. Wanjiru fece notizia per la sua velocità. Packer fece notizia, non per la velocità, ma per il suo coraggio e la sua determinazione. Un migliaio di persone lo accolsero alla fine di una corsa cui si era iscritto contro ogni aspettativa, per non parlare delle possibilità di portarla a termine. Dopo il suo incidente l’anno prima, gli avevano detto che non sarebbe più stato in grado di camminare. Anzi, aveva imparato a camminare con le stampelle solo un mese prima della maratona. Mentre entrambi sono rispettati per la loro impresa, c’era qualcosa di speciale nel trionfo di Parker. Durante le sei ore dolorose ed estenuanti che impiegò ogni giorno a percorrere poco più di tre chilometri, non fu mai solo. I suoi sostenitori, sia amici che estranei, lo accompagnarono durante il percorso, camminando al suo fianco e incoraggiandolo, dalla linea di partenza fino all’arrivo. Tra i messaggi di congratulazione sul suo sito web ci fu anche un messaggio che trasmetteva l’ammirazione del principe Carlo. La strada della vita non è sempre facile e a volte affrontiamo ostacoli apparentemente insormontabili; ma non camminiamo da soli. Anche noi abbiamo degli incoraggiatori, la nostra famiglia e i nostri amici, che ci sostengono durante il cammino. E anche noi abbiamo un Principe che ci appoggia — non di questo mondo, ma Gesù, il Principe della Pace, che promette di aiutarci a superare le circostanze, a persistere nonostante le probabilità sfavorevoli e a trionfare sulle difficoltà: «La mia grazia ti basta, perché la mia potenza è portata a compimento nella debolezza» (2 Corinzi 12,9), ci dice. Quindi «corriamo con perseveranza la gara che ci è posta davanti, tenendo gli occhi su Gesù, autore e compitore della nostra fede» (Ebrei 12,1–2) Story courtesy of Activated magazine. Used by permission. Image credits: Image of Samuel Wanjiru courtesy of Wikimedia Commons. Image of Major Phil Packer from www.abc.net.au; used under Fair Use guidelines.
Una donna era rimasta intrappolata all’ottantesimo piano di un edificio in fiamme. Aveva paura dei luoghi elevati e degli spazi chiusi; quando suonò l’allarme rifiutò di seguire i suoi colleghi giù per le scale che l’avrebbero portata al sicuro.
I pompieri controllarono tutto l’edificio e la trovarono nascosta sotto una scrivania in attesa di morire. Continuava a gridare: «Ho paura! Ho paura!» mentre i pompieri insistevano che scendesse per le scale, finché uno di loro le disse: «Va benissimo, fallo con la paura». Glielo ripeté a ogni nuova rampa di scale, fino in fondo, finché riuscì a metterla in salvo. Abbiamo avuto tutti di questi momenti – quando sai che una cosa va fatta, ma la paura ti tira indietro. Per riuscire, bisogna sviluppare l’abitudine ad agire nonostante la paura. Va benissimo aver paura: fallo con la paura. Va bene sentirsi insicuri: fallo con l’insicurezza. Va bene sentirsi a disagio: fallo con il disagio. Una sfida nuova può essere molto problematica per noi, perfino spaventosa all’inizio. Se però ci esponiamo deliberatamente e facciamo proprio ciò di cui abbiamo paura, finirà per diventare sempre più facile e riusciremo a farlo sempre meglio. Alla fine non avremo più paura. Questo, in pratica, vuol dire vincere le nostre paure! Per gentile concessione della rivista Contatto. Usato con il permesso. Immagine di Vexels.com
Vanessa mi fece un cenno di saluto mentre le porte si chiudevano. Guardai il treno partire e privarmi di un’amicizia lunga sei anni. C’eravamo incontrare alle medie; avevamo gli stessi gusti in fatto di libri e il nostro comune interesse per la scrittura aveva iniziato un’amicizia indistruttibile che era durata negli alti e bassi della nostra adolescenza. Adesso lei aveva vinto una borsa di studio e stava andando all’estero per conseguire una laurea. Ero rimasta lì a cercare di scoprire come andare avanti, nonostante la sua partenza mi avesse tolto il terreno sotto i piedi. Ovviamente avevo sempre saputo che un giorno saremmo partite entrambe per seguire strade diverse, ma adesso che stava succedendo mi sentivo davvero a pezzi.
Nelle prime settimane dopo la sua partenza, l’assenza di Vanessa mi ha fatto capire quanto finora ero dipesa da lei. Invece di passare il tempo con tante amiche diverse, mi ero sentita a mio agio solo con lei e con alcune delle amiche che avevamo in comune. Era più facile adottare i punti di vista di una persona piacevole e intelligente come lei, invece di dover scoprire le mie vedute personali su ogni cosa. Per esempio, seguivo sempre le sue opinioni sui libri da leggere o i film da vedere. Anche se essere fermamente leale non era un male, mi sono resa conto che ero stata restia ad affrontare il rischio di prendere decisioni personali e seguire la mia strada. Anche se ammiravo il coraggio di Vanessa nel lasciare un ambiente noto per seguire i suoi sogni, ero anche terrorizzata al pensiero del trambusto emotivo della transizione alla vita adulta senza la sicurezza del sostegno emotivo della mia migliore amica. Ci siamo tenute in contatto per il primo anno o giù di lì, ma naturalmente con il passar del tempo ci siamo allontanate sempre di più. A quei tempi, veder crollare le mie speranze di conservare la nostra amicizia è stato doloroso. Tuttavia, guardandomi indietro, è chiaro che l’uscita di Vanessa dalla mia vita ha dato impulso alla mia crescita personale. Sono stata costretta a incontrare nuovi amici, a commettere errori e poi a rimettermi in piedi da sola. Non poter chiedere i suoi consigli per ogni cosa mi ha spinto a indagare di più dentro me stessa e a vedere le cose con i miei occhi. Anche se a volte mi sono sentita sola e abbandonata, ora capisco quello che Faraaz Kazu scrisse una volta a proposito dell’amicizia: «Alcune persone se ne andranno, ma quella non è la fine della vostra storia. È la fine del loro ruolo nella vostra storia». Immagine (adattata) per gentile concessione di Freepik. Storia della rivista Contatto; usato con il permesso. |
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