tutto in discussione e facevo fatica a rispettare le regole. Comunque, anche se avevo una facciata esteriore dura, dentro volevo solo trovare qualcuno che mi capisse davvero. Un giorno mi ritrovai a una riunione in cui ero l’unica ragazza giovane. Mentre gli adulti parlavano riuniti in gruppetti, io mi sedetti da sola in un angolo a guardarmi in giro, finché a un certo punto mi si avvicinò una signora che cominciò a parlarmi. Si chiamava Gioia. Alla fine decisi di aprirmi e le raccontai tutti i miei guai. Mi aspettavo che mi facesse una predica, invece si limitò ad ascoltarmi. Sentivo che si interessava a me. Non cercò nemmeno una volta di correggermi o di cambiare la mia opinione; cercò semplicemente di capirmi. Quella conversazione fu l’inizio di un’amicizia che continuò per sette anni, in mezzo a varie vicissitudini, fino al giorno della sua morte. Facevamo lunghe passeggiate insieme e a volte ci scrivevamo dei bigliettini sulle cose che erano più difficili da dire di persona. Ci mantenemmo in contatto per telefono e per posta anche dopo il suo trasferimento in un’altra città. Durante quei sette anni, Gioia fu spesso molto ammalata e vicina alla morte, ma non la sentii mai lamentarsi. Era vivace e appassionata. Gioia m’insegnò una cosa molto importante: che essere me stessa era OK. Allo stesso tempo m’insegnò anche a cercare di capire le persone più profondamente, a guardare al di là delle apparenze e a volte perfino al di là di ciò che dicono, ad accettarle per quel che sono e a mostrare loro un amore senza riserve. Anche se sembriamo tanto diversi, siamo fatti tutti dello stesso materiale e abbiamo tutti bisogno di amore, comprensione e approvazione. Quando qualcuno vede questo nostro bisogno e lo soddisfa, allora finalmente sbocciamo. Per gentile concessione della rivista Contatto. Foto di photostock/www.freedigitalimages.net
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