La Bibbia parla molto dell’effetto che hanno le nostre parole. Uno dei miei versetti preferiti è: «Signore, poni una guardia davanti alla mia bocca». (Salmi 141,3)
Ovviamente la Bibbia fu scritta molto prima dell’epoca moderna, con i suoi social media e le sue app, quindi non parla delle mie possibilità di aiutare o danneggiare quando uso le dita per scrivere dei messaggi. Qualche tempo fa ho avuto un’esperienza che mi ha insegnato che l’ammonimento biblico riguardante la lingua dovrebbe aiutarmi a scrivere con lo stesso atteggiamento di preghiera e prudenza.
Stavo lavorando a un certo progetto con altri tre colleghi e a causa dei nostri orari caotici spesso comunicavamo via Facebook Messenger. In una certa occasione, John è stato inaspettatamente assente da un’importante discussione online e di conseguenza non abbiamo potuto prendere decisioni senza le informazioni che lui aveva la responsabilità di darci. Esasperata per la sua assenza inspiegabile e il nostro tempo sprecato, ho sparato un commento nella chat di gruppo: «Odio cercare di fare discussioni di gruppo quando uno dei nostri membri è assente!»
Fino a quel punto John era stato un collega responsabile e collaborativo, ma qualche tempo dopo questa sua assenza ha perso interesse a partecipare. In seguito ho sentito da un comune amico che il giorno di quell’appuntamento importante John aveva avuto degli impegni urgenti e non era stata sua intenzione venir meno al suo impegno con il progetto. Si era sentito ferito dal mio sfogo e aveva quasi deciso di lasciare il gruppo.
Mi sono resa conto che se ne avessimo parlato faccia a faccia, probabilmente non sarei esplosa con quel commento. Invece, con il senso di sicurezza causato dalla barriera della tastiera, mi ero sentita libera di venirmene fuori con la prima cosa che mi era passata per la mente. A prescindere che la mia frustrazione fosse giustificata o no, mi sono resa conto che devo imparare la mia lezione. «Signore, poni una guardia davanti alle mie dita; sorveglia le mie mani mentre messaggio!»
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Edmond Sichrovsky
Dovrebbe essere facile, pensai, mentre mi preparavo ad andare alle superiori. Non mi aspettavo di avere problemi a fare amicizia o interagire con i miei compagni di classe. Purtroppo la mia sicurezza fu delusa il primo giorno di scuola, quando feci conoscenza con il ragazzo seduto vicino a me nell’aula. Sean era alto più o meno come me, ma pesava quasi il doppio. Studiava in modo sbadato, non si preparava mai per i compiti in classe, gridava e insultava studenti e insegnanti. Si vantava continuamente dei videogiochi violenti che faceva e la loro influenza si vedeva chiaramente nel suo comportamento arrabbiato e distruttivo. Ben presto cominciai a desiderare di non stare seduto di fianco a lui.
Passarono le settimane e Sean sembrava peggiorare continuamente. Era sempre insufficiente, litigava con gli altri ragazzi e non aveva amici. Facevo del mio meglio per essere cortese, ma mantenevo le distanze.
Un giorno, all’ora di pranzo, l’unico posto libero in mensa era vicino a Sean e mi ci sono seduto con riluttanza. Abbiamo cominciato a parlare e durante quella breve conversazione ho scoperto che suo padre era morto quando lui era piccolo e sua madre faceva il turno di notte. Di conseguenza lui era a casa da solo quasi tutte le sere e passava del tempo con lei solo nei fine settimana. Provai vergogna per il mio atteggiamento critico e decisi di avvicinarmi un po’ a lui, nonostante non fossi molto incline a farlo. All’inizio i miei tentativi furono accolti con scherno e rifiuti. Scoprii che Sean era stato oggetto di bullismo in passato e sembrava che per reazione avesse sviluppato una facciata dura e insensibile. Era difficile sceglierlo quando facevamo le squadre ed era penoso cercare di fare amicizia con lui quando tutti i miei sforzi erano accolti con osservazioni beffarde. Spesso avevo la tentazione di arrabbiarmi con lui e mi chiedevo se ne valesse la pena. Con il passare dei mesi, però, Sean cominciò a diventare più amichevole. Poi, una mattina, più di quattro mesi dopo quella prima conversazione nella mensa, Sean insistette per sedersi con me per un’attività di classe. Ne fui colpito. «Dici sempre che non vuoi più vedermi», gli dissi. «Non è vero!» replicò con un sorriso. «Sei il mio unico amico, l’unica persona cui importa di me. Voglio che restiamo sempre amici».
Quel giorno non solo feci un’amicizia che continua ancora adesso, ma scopri anche una preziosa verità: in qualsiasi modo una persona agisca, si comporti o sembri essere, tutti vogliono e hanno bisogno di amore e approvazione. Sotto la superficie dura della facciata di una persona c’è spesso un fiore in attesa di germogliare. Le parole e i gesti gentili sono per il cuore umano ciò che il sole è per i fiori. Possono volerci giorni, settimane, a volte perfino mesi e anni perché i nostri sforzi siano ricompensati da risultati, ma un giorno quella persona sboccerà.
Testo adattato dalla rivista Contatto. Utilizzato col permesso.
Photo credits: Image 1: Kirimatsu via DeviantArt.com; used under CC license. Image 2: Flamespeedy via DeviantArt.com; used under CC-NC license. Image 3: Heximer via DeviantArt.com; used under CC license. |
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December 2024
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