Keith Phillips
Crescendo, l’ultima cosa che mi sarei aspettato era di diventare un giornalista. Tanto per cominciare, ero un pessimo studente. Pessimo e infelice. Fin quasi dal primo giorno della prima elementare ebbi difficoltà a stare al passo col resto della classe; scrivere poi non fu mai uno dei miei migliori talenti, almeno non fi no alle superiori. La persona che fece la differenza fu mio padre. Era stato corrispondente di guerra durante la Seconda Guerra Mondiale e poi cronista di un giornale per diversi anni. Aveva cambiato carriera per provvedere meglio alla sua famiglia in aumento, ma gli era rimasto il giornalismo nelle ossa. Quando si off rì di battere a macchina uno dei miei temi scritti a mano, si rese conto delle mia incapacità e si mise subito all’opera. Quando mi spiegò cosa andava migliorato e perché, cominciai ad aff errare il concetto. Nei due anni successivi i miei voti migliorarono e guadagnai fi ducia in me stesso, il che portò poi a migliorare i miei voti in altre materie. Dovevano passare altri venticinque anni prima che tentassi di fare qualcosa di più con quello che mio padre mi aveva insegnato, ma quando mi ci dedicai mi accorsi con sorpresa che la passione per riempire di parole una pagina era stata contagiosa. Ed ora eccomi qui, in gran parte grazie a mio padre, a fare una cosa che mi piace fare, in un gruppo affi atato e pieno di talenti, per un Dio che amo e per una rivista in cui credo. Cosa potrei volere di più? Questa è la mia storia e questo è mio padre. Le due cose ora sembrano inseparabili e penso che fosse così che Dio voleva che succedesse. Un buon padre contribuisce a fare di noi ciò che siamo. È uno dei doni speciali di Dio ed essere padri è una vocazione speciale.
Per gentile concessione della rivista Contatto. Utilizzato con il permesso: Foto: Pat Belanger/Flickr
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March 2024
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