Quando quel ragazzo polacco dai capelli rossi, con un buon talento musicale, disse ai professori del conservatorio che voleva diventare un pianista, questi cercarono di scoraggiarlo. Gli dissero che aveva dita troppo corte e tozze per suonare il piano. Si comprò una tromba, ma ricevette gli stessi commenti, con l’aggiunta del suggerimento di provare un altro strumento. Gira e rigira tra una cosa e l’altra, ritornò a provare col piano. Scoraggiato e demoralizzato, gli capitò di incontrare il famoso pianista e compositore Anton Rubinstein. Ebbe l’opportunità di suonare per lui e Rubinstein lo lodò e lo incoraggiò. Il giovane polacco promise di dedicare sette ore al giorno a far pratica di piano. Quelle parole di lode cambiarono la vita di Jan Paderewsky, che divenne uno dei più grandi pianisti del XX secolo. *** Da ragazzo, il grande romanziere Sir Walter Scott era considerato parecchio ottuso; il suo posto abituale a scuola era quello dell’asino della classe. All’età di quattordici anni gli avvenne di essere presente in una casa dove erano stati invitati alcuni famosi letterati del tempo, tra i quali il famoso poeta scozzese Robert Burns. Questi si fermò ad ammirare un quadro, sotto il quale erano scritti alcuni versi di una poesia; chiese chi ne fosse l’autore, ma nessuno lo sapeva. Timidamente, un ragazzino gli si avvicinò, gli disse il nome del poeta e recitò il resto della poesia. Burns ne rimase sorpreso e lietissimo; gli appoggiò una mano sul capo ed esclamò: ‘Ah, ragazzo mio, un giorno sarai un grande uomo in Scozia’. Da quel momento in poi Walter Scott fu una persona diversa. Una sola parola di incoraggiamento bastò a indirizzarlo sulla strada della grandezza. *** Alcuni anni fa, a Detroit, una giovane insegnante chiese a Stevie Morris di aiutarla a trovare un topolino che si annidava nell’aula. Sapeva apprezzare il fatto che, per compensarlo della sua cecità, la natura aveva dato a Stevie un talento che nessun altro aveva in quella stanza: un udito finissimo. Ma quella era la prima volta che qualcuno dimostrava di riconoscere il valore di quel suo udito prodigioso. Alcuni anni più tardi, Stevie ricordò come quell’atto di apprezzamento fosse stato l’inizio di una nuova vita per lui. Da quel giorno egli sviluppò il suo orecchio e, sotto il nome di Stevie Wonder, divenne uno dei cantanti e parolieri più famosi degli ultimi trent’anni. Text courtesy of The Family International. Photo by JosephB via Flickr.
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Che cos’è l’amore incondizionato? È esattamente quello che le parole significano: amare una persona senza condizioni, solo per quello che è e non per quello che fa. —Zig Ziglar * I bambini eccezionali sono esattamente quello: eccezioni. La vasta maggioranza dei bambini non è sorprendentemente brillante, estremamente acuta, grandemente coordinata, tremendamente dotata, o universalmente popolare! Sono soltanto ragazzini con un enorme bisogno di essere amati e accettati per quel che sono. —James Dobson * Vedere i vostri figli, o voi stessi, da un punto di vista analitico o critico e desiderare che siano fatti in un certo modo piuttosto che in un altro, può privarvi della vostra felicità, della vostra ispirazione, della vostra pace spirituale e della vostra soddisfazione personale, per non parlare dell’effetto che può avere sui figli. I bambini ricordano le cose molto chiaramente e sono influenzati direttamente dall’atteggiamento dei genitori e da quello che questi pensano di loro. Così, se parlate continuamente di vostro figlio con fede e in maniera positiva, sia a lui sia agli altri, ciò avrà un effetto buono, ispirante e positivo su di lui e sarà molto più probabile che finisca per assomigliare alla persona che desiderate e vi aspettate che sia. Se però pensate o parlate di vostro figlio in maniera negativa, potreste fargli pensare a se stesso in modo negativo, ostacolando la sua felicità e la sua autostima, i suoi risultati e il suo modo di vedere se stesso. La fede genera fede; gli atteggiamenti positivi generano altri atteggiamenti positivi, sia verso se stessi che nei riguardi di chi vi sta intorno. Spesso basta dimostrare fede in qualcuno per aiutarlo a tirar fuori il meglio di sé. —Gesù, parlando in profezia * Avere uno spirito di approvazione vuol dire amare i propri figli anche quando si oppongono o sono di pessimo umore. Devono sapere che il loro vero valore non si basa sulla loro bellezza, sul loro cervello, o sul loro comportamento, ma sul semplice fatto che sono persone create da Dio. —Dan Benson * Per costruire un rapporto d’amore e rispetto, dovete ricordare che la reazione dei vostri figli verso di voi dipende da quello che provano nei vostri confronti. Se provano sentimenti d’amore e rispetto, le loro reazioni saranno obbedienti e amorevoli, perché è quello che desiderano fare. […] Non c’è vera unità senza rispetto. —Zig Ziglar * I bambini prosperano con i complimenti. È più importante lodare un bambino per le sue buone azioni e il suo buon comportamento, che sgridarlo per una cattiva condotta. Accentuate sempre il lato positivo. —David Brandt Berg * Alcuni modi per dimostrare amore e rispetto ai bambini
* Incoraggiate le qualità e le caratteristiche individuali dei bambini:
* I vostri figli dipendono da voi per vedere un esempio del mio amore per loro in maniera facile da comprendere, conoscere, assimilare e sentire. Se non fate vedere loro il mio amore, come faranno a sapere che li amo? Voi siete una manifestazione del mio amore per loro. I bambini sono fragili nelle loro emozioni, anche quelli che non lo dimostrano molto, e voglio mostrare loro che li amo, che mi curo di loro e che voglio stare vicino e fare cose speciali per loro. Il vostro amore, manifestato nel tempo che passate con loro, è uno dei modi migliori in cui un bambino sente il mio amore attraverso di voi. E proprio come Io amo fervidamente voi, amo anche loro — più di quanto possiate immaginare. —Gesù, in profezia Tratto da "Il Prof. Washington", di Les Brown
Un giorno, quando frequentavo il terzo anno delle scuole superiori, entrai in un’aula che non era la mia, per aspettare un amico; di punto in bianco apparve l’insegnante di quella classe, il professor Washington, che mi chiese di scrivere qualcosa alla lavagna, un calcolo o qualcosa del genere. Gli dissi che non potevo farlo. “E perché no?” Mi chiese. “Perché non sono un suo studente”, risposi. Non importa”, mi disse. “Vai alla lavagna lo stesso”. “Non posso farlo”, insistei. “Perché no?” Mi chiese di nuovo. Ci fu una pausa imbarazzata da parte mia. “Perché seguo la preparazione scolastica per il ritardo mentale”, riuscii a dire. Si alzò dalla scrivania, mi guardò e mi disse: “Non lo dire mai più. L’opinione che qualcuno ha di te non deve diventare la tua realtà”. Fu un momento di vera liberazione per me. Da un lato mi sentii umiliato, perché gli altri studenti avevano riso di me: erano venuti a sapere che seguivo un corso per il ritardo mentale. Però d’altro canto mi sentii liberato, perché il professore aveva cominciato ad attirare la mia attenzione sul fatto che non ero costretto a vivere entro i limiti angusti dell’opinione che altri avevano di me. E così il professor Washington divenne il mio pigmalione. Prima di questa esperienza ero stato bocciato due volte e in quinta elementare ero stato classificato fra gli alunni che dovevano seguire il corso speciale di istruzione per il ritardo mentale ed ero stato spostato dalla quinta alla quarta. In seguito ero stato bocciato di nuovo in terza media. Così, il prof. Washington portò un cambiamento radicale nella mia vita. Di lui dico sempre che aveva la stessa percezione di Goethe, il quale disse: “Prendi in considerazione un uomo per quello che è, e può solo fare di peggio. Ma consideralo per quello che potrebbe essere e diventerà come dovrebbe essere”. Il prof. Washington credeva che “nessuno si innalza al livello delle aspettative che si hanno di lui, se queste sono basse”. Egli dava sempre ai suoi studenti la sensazione che si aspettasse molto da loro e di conseguenza noi ci sforzavamo tutti di non deludere le sue aspettative. Un giorno, quando ero ancora ai primi anni della scuola superiore, lo sentii fare un discorso ai ragazzi che si stavano diplomando. Egli disse loro: “Dentro di voi c’è grandezza, avete qualcosa di speciale. Se solo uno di voi potesse cogliere una visione più ampia di sé, di ciò che può apportare a questo mondo, della sua speciale ed unica essenza ed identità, allora, in un contesto storico, questo mondo non sarà mai più lo stesso. Potete far sì che i vostri genitori vadano fieri di voi, che la vostra scuola, la vostra comunità vadano fieri di voi. Potete avere influenza su milioni di vite”. Stava parlando ai diplomandi, ma sembrava che quel discorso fosse rivolto a me. A quel punto tutti si alzarono in piedi per applaudirlo. Più tardi lo raggiunsi nel parcheggio e gli dissi: “Prof. Washington, si ricorda di me? Ero nell’aula magna quando lei ha fatto il suo discorso ai diplomandi”. “E lei che ci faceva là? Mica si sta diplomando” mi disse. “Sì, lo so”, gli risposi. “Ma il discorso che lei ha fatto, l’ho sentito dalle porte aperte dell’aula magna e quel discorso era per me, signore. Lei ha detto che in loro c’è grandezza. Anche in me c’è grandezza, signore?” “Sì, sig. Brown”, mi disse. “Ma che ne dice del fatto che sono stato rimandato in inglese, matematica e storia, e che devo fare un corso di ricupero quest’estate? Io sono più lento di comprendonio della maggior parte dei ragazzi, signore. Non sono intelligente come mio fratello o mia sorella, che frequentano l’università di Miami”. “Non ha importanza. Vuol solo dire che lei deve lavorare più sodo. Ma i suoi voti non determinano quello che lei è o quello che può produrre nella vita”. “Voglio comprare una casa a mia madre”. “È possibile, sig. Brown, lei lo può fare”. E fece per andarsene. “Prof. Washington…” “Cosa vuole adesso?” “Ehm… sono io, signore. Si ricordi di me, si ricordi il mio nome. Un giorno lo sentirà. La renderò fiero di me. Quello sono io, signore”. La scuola fu veramente una lotta per me. Venivo promosso perché non mi comportavo male. Ero un bravo ragazzo, ero divertente, facevo ridere la gente. Ero educato, rispettoso, così gli insegnanti mi promuovevano. Ma la cosa non mi era di grande aiuto. Invece il prof. Washington era esigente con me, mi faceva capire che ero responsabile dei miei progressi. Ma riuscì a farmi avere la fiducia in me stesso, che ce la potevo fare. Divenne il mio istruttore nel mio ultimo anno delle superiori, sebbene facessi ancora parte del programma di ricupero. Normalmente uno studente del corso speciale come me non poteva seguire i corsi di dizione e di recitazione, ma mi dettero un permesso speciale perché io li potessi seguire con lui, perché il preside si era reso conto che c’era un legame speciale fra di noi, che egli aveva avuto su di me un’influenza positiva, anche perché avevo cominciato ad avere buoni risultati scolastici. Per la prima volta nella mia vita il mio nome apparve sull’albo d’oro, l’elenco degli studenti che si erano distinti nello studio. Volevo davvero fare una gita insieme al gruppo teatrale e bisognava essere nell’albo d’oro per potervi partecipare: fu un vero miracolo! Il prof. Washington ridefinì in maniera totalmente diversa l’immagine che io avevo di me stesso. Mi dette una visione più ampia delle mie possibilità, ben oltre il mio condizionamento mentale e le circostanze in cui ero cresciuto. Anni dopo produssi cinque spettacoli che furono trasmessi in televisione. Gli feci telefonare da alcuni amici mentre il mio programma “Lo meriti” veniva trasmesso sul canale che curava il settore educativo della televisione di Miami. Stavo aspettando vicino al telefono quando la sua chiamata mi raggiunse a Detroit. Disse: “Posso parlare con il sig. Brown, per favore?” “Chi parla?” “Lo sa chi parla”. “Oh, prof. Washington, è lei!” “Quello era lei, vero?” “Sì, signore, ero io”. Il film “La forza della volontà” narra la storia di Jaime Escalante, un immigrante boliviano negli USA che insegnava alla Garfield High School, nei quartieri poveri di Los Angeles. Ottenne dei notevoli risultati con studenti noti per essere particolarmente difficili. Una storia che il film non racconta è quella dell’“altro Johnny”. Escalante aveva due studenti di nome Johnny nella sua classe. Uno aveva sempre i voti migliori, l’altro quelli peggiori. Il primo era cordiale, collaborava con gli insegnanti, lavorava sodo ed era simpatico a tutti gli altri studenti. Il secondo Johnny era astioso e arrabbiato, non collaborava, disturbava e in generale era antipatico a tutti. Una sera, a una riunione genitori-insegnanti, una madre si avvicinò emozionata a Escalante e gli chiese: “Come va il mio Johnny?” Escalante pensò che la madre del secondo Johhny non avrebbe certamente fatto una simile domanda, così descrisse il primo Johnny in termini entusiastici, dicendo che era uno studente fantastico, simpatico ai compagni di classe e cooperativo, uno che lavorava sodo e che avrebbe senz’altro fatto strada nella vita. La mattina dopo, Johnny – il secondo – si presentò a Escalante e gli disse: “Sono veramente grato per quello che ha detto di me a mia madre. Voglio solo dirle che mi metterò a studiare sul serio perché quello che ha detto diventi realtà”. Alla fine di quel semestre se la cavava già bene e alla fine dell’anno scolastico era nella lista d’onore dell’istituto. Se trattiamo vostri figli come se fossero l’“altro Johnny”, è estremamente probabile che migliorino le loro prestazioni. Qualcuno potrebbe giustamente dire che la maggior parte delle persone che hanno raggiunto il successo è stata spinta dagli incoraggiamenti piuttosto che dai brontolii. Questo esempio ci spinge a chiederci cosa succederebbe a tutti gli “altri Johnny” del mondo, se qualcuno dicesse qualcosa di veramente buono su di loro. —Zig Ziglar ***** Tutti hanno bisogno e vogliono essere apprezzati per i loro risultati. Un bambino che giocava a freccette col padre disse: “Giochiamo a freccette. Io le tiro e tu dici: ‘Bravo!’” Ecco quello che una persona incoraggiante fa per gli altri. Di solito tendiamo a diventare ciò che la persona più importante nella nostra vita pensa che potremmo essere. Pensate il meglio, credete il meglio e dite il meglio degli altri. Le vostre affermazioni non solo vi renderanno più attraenti ai loro occhi, ma vi permetteranno di avere un ruolo importante nel loro sviluppo personale. —John C. Maxwell Per gentile concessione di www.anchor.tfionline.com. Usato con permesso. Ogni cambiamento positivo, per piccolo che sia, cambia il mondo in meglio. Possiamo farlo migliorando la vita delle persone intorno a noi, mediante gesti di affetto e considerazione e dimostrando fede in loro. Ecco alcuni suggerimenti pratici per aiutarti a cominciare a cambiare il mondo un cuore alla volta: • Incoraggia le buone qualità. Cerca di pensare ad almeno una cosa eccezionale che trovi in tuo bambino, poi fai di tutto per farglielo sapere. Non tirarti indietro; non si stancherà di sentirtelo dire. Quel che fai è costruire la sua fiducia in quel campo specifico, poi, man mano che acquista fiducia, comincerà a migliorare anche in altri campi. • Rendili responsabili. Affida loro responsabilità nei punti in cui sono particolarmente forti. Fai in modo che si sentano necessari, apprezzati e degni di fiducia. • Apprezzali per ciò che sono. Apprezzare vostri figli per quello che fanno è importante. A tutti piace essere ringraziati, ma esserlo per una caratteristica personale dà una sensazione più piacevole che esserlo solo per i risultati ottenuti. • Rallenta. Ci vuole tempo per vedere tuo bambino sotto una luce nuova. Vai più piano nei tuoi rapporti con gli altri e dà a Dio l’opportunità di rivelare il suo modo di vedere le cose. • Lascia stare il passato. A nessuno piace essere etichettato. Sii disposto a vedere tuo bambino per quello che è oggi, o per quello che può essere domani. Adattato da un articolo pubblicato nella rivista Contatto. Joyce Suttin Nella primavera del mio primo anno alle superiori, alcune ragazze suggerirono di allenarci per la partita di basket tra alunne giovani e anziane. Mi sembrava un’idea divertente, così mi unii a loro. Durante gli allenamenti non me la cavai troppo bene, perché ero più attenta alle mie amiche che alla partita; ma anche se davo un po’ ai nervi alle giocatrici più competitive, decisi che avrei giocato la mia prima e unica partita ufficiale. Durante tutta la partita gli anziani furono costantemente in testa, mentre la nostra squadra era in difficoltà. Avevo passato la palla un paio di volte, come se fosse una patata bollente, lieta di togliermela dalle mani il più in fretta possibile. Finché… Eravamo indietro di due punti e mancavano pochi secondi alla fine della partita, quando una delle mie amiche riuscì a intercettare la palla. La lanciò più lontano che poteva e mi resi conto con sgomento che stava arrivando nella mia direzione. La presi con facilità, ma adesso cosa…? Nessuna delle mie compagne era vicina al canestro. Devo essere sembrata bloccata nel tempo, incerta sul da farsi, quando vidi la faccia di Stan, uno degli atleti della mia classe, seduto in prima fila tra la folla. Mi gridò: «Tira la palla! Puoi farcela!» Mi ricordo di aver guardato il canestro dalla mia posizione a metà campo; presi la mira e tirai con tutta la mia forza. Quel che successe dopo fu un po’ confuso. In qualche modo la palla infilò miracolosamente il canestro all’ultimo secondo e vincemmo la partita! Mentre tutti si affollavano intorno a me nel mio momento di gloria, i miei occhi cercarono Stan in mezzo alla folla. Finalmente si avvicinò per congratularsi con me e gli dissi: «Grazie, Stan, per aver dimostrato fiducia in me proprio quando ne avevo bisogno. Hai pensato che potessi farcela e ce l’ho fatta». Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci inciti quando i volti nella folla sono confusi davanti a noi, quando le voci sembrano incomprensibili e i nostri passi si fanno incerti — qualcuno come Stan che ci dica di provare quando siamo esitanti e incerti, che ci ispiri la fiducia di tentare l’impossibile e dica: «So che puoi farcela!» ***** I vostri bambini hanno bisogno di vedere che voi volete che ce la facciano, che voi credete che ce la possano fare. Quando sono affranti o disperati hanno bisogno che li incoraggiate a raccogliere i cocci e ricominciare daccapo. Devono sapere che, per quanto siano caduti in basso o per quante volte abbiano fallito, possono comunque rialzarsi. Devono sapere che sono dei vincitori, dei campioni e che voi credete in loro. Nella storia ci sono molti esempi di persone che hanno fatto grandi cose, sono diventate illustri, hanno scoperto qualcosa di ignoto, hanno inventato qualcosa d’ingegnoso, hanno scritto qualcosa di creativo, hanno cantato qualcosa di bello, hanno ispirato altri, o contribuito a fare del mondo un posto migliore, grazie ai loro sforzi — in gran parte grazie alla fede che qualcuno ha avuto in loro. La forza della fede e della convinzione che altri hanno avuto in loro ha aiutato molte di queste persone illustri a vincere condizioni apparentemente impossibili, opposizioni, pericoli o difficoltà. Avrebbero potuto finire per restare sconosciuti al resto del mondo, se non fossero stati ispirati a realizzare qualcosa e di conseguenza a diventare più di quel che erano. Molti di questi grandi uomini e di queste grandi donne erano ritenuti praticamente privi di qualsiasi potenziale, all’inizio. Ci sono stati casi di grandi insegnanti, scienziati e inventori che da bambini erano ritenuti sotto la media intellettualmente. Alcuni grandi atleti si sono sentiti dire che erano troppo malati, handicappati o deboli per qualificarsi anche solo per il primo livello di competizione. Ci sono stati grandi scrittori e oratori che all’inizio facevano fatica a esprimersi chiaramente. Famosi ballerini e ballerine, cantanti, attori e attrici possono ricordarsi di essere stati rifiutati nelle loro prime audizioni, perché “non avevano abbastanza talento”. In molti hanno incontrato insuccessi e hanno fatto numerosi errori, persone che dimostravano promessa e potenziale, ma erano state deluse in diverse occasioni, finché, grazie alla loro perseveranza, stimolata in parte da persone che credevano in loro, hanno ottenuto il successo. Per gentile concessione della rivista Contatto e www.anchor.tfionline.com Un ragazzo parzialmente sordo tornò a casa da scuola un giorno, con una nota scritta dal preside, che suggeriva ai genitori di togliere il ragazzo dalla scuola perché “era troppo stupido per imparare qualcosa.” La madre del ragazzo lesse la nota e disse: “Mio figlio Tom non è ‘troppo stupido per imparare qualcosa’. Gli insegnerò io stessa”. E così fece. Passarono molti anni e quando Tom morì, il popolo degli Stati Uniti gli rese onore spegnendo le luci in tutto il paese per un minuto. Tom era stato l’inventore della lampadina; ma non solo, aveva inventato anche la cinepresa e il fonografo. In totale, Thomas Edison brevettò più di mille invenzioni. - Da il piccolo Libro di Dio per Ispirare le Madri “Mia madre fu la mia grande ispiratrice. Era così sincera, così sicura delle mie qualità, che sentivo di dover rispondere alle sue aspettative. Il ricordo di mia madre sarà sempre una benedizione per me.” –Thomas A. Edison (1847-1931) ***** Durante l’adolescenza Jim lavorò in una drogheria di Hamilton, in Missouri. Gli piaceva il lavoro e pensava di dedicarsi alla carriera di droghiere. Una sera tornò a casa e raccontò orgogliosamente alla sua famiglia le furbizie del suo datore di lavoro. Il droghiere tagliava abitualmente le marche più costose di caffè con caffè di bassa qualità, aumentando i suoi profi tti. Mentre raccontava la storia a tavola Jim se la rideva. Suo padre non vide niente di divertente nella cosa. “Dimmi”, gli chiese, “se il roghiere scoprisse che qualcuno gli rifi la una merce scadente al prezzo di una di qualità, pensi che la riterrebbe una cosa furba e ci riderebbe sopra?” Jim capì che il padre era rimasto deluso dalle sue parole. “Credo di no”, rispose. “Immagino che non la vedrebbe così.” Il padre gli disse di tornare al lavoro il giorno dopo e farsi dare i soldi che gli spettavano e poi dire al droghiere che non avrebbe più lavorato per lui. In paese il lavoro era scarso, ma l’uomo preferiva vedere il figlio disoccupato piuttosto che alle dipendenze di un commerciante disonesto. Quella fu la fine della carriera di droghiere per J.C. Penny. Invece finì col fondare la catena di supermercati che porta ancora il suo nome. I segreti del suo successo ci vengono rivelati nella sua autobiografi a Cinquant’anni con la Regola Aurea. ***** Crescendo, l’ultima cosa che mi sarei aspettato era di diventare un giornalista. Tanto per cominciare, ero un pessimo studente. Pessimo e infelice. Fin quasi dal primo giorno della prima elementare ebbi difficoltà a stare al passo col resto della classe; scrivere poi non fu mai uno dei miei migliori talenti, almeno non fino alle superiori. La persona che fece la differenza fu mio padre. Era stato corrispondente di guerra durante la Seconda Guerra Mondiale e poi cronista di un giornale per diversi anni. Aveva cambiato carriera per provvedere meglio alla sua famiglia in aumento, ma gli era rimasto il giornalismo nelle ossa. Quando si offrì di battere a macchina uno dei miei temi scritti a mano, si rese conto delle mia incapacità e si mise subito all’opera. Quando mi spiegò cosa andava migliorato e perché, cominciai ad afferrare il concetto. Nei due anni successivi i miei voti migliorarono e guadagnai fiducia in me stesso, il che portò poi a migliorare i miei voti in altre materie. Dovevano passare altri venticinque anni prima che tentassi di fare qualcosa di più con quello che mio padre mi aveva insegnato, ma quando mi ci dedicai mi accorsi con sorpresa che la passione per riempire di parole una pagina era stata contagiosa. Ed ora eccomi qui, in gran parte grazie a mio padre, a fare una cosa che mi piace fare, per un Dio che amo e per una rivista in cui credo. Cosa potrei volere di più? - Keith Phillips (Editor, rivista Contatto) Articolo originariamente pubblicato nella rivista Contatto.
Stavo osservando alcuni bambini giocare a pallone – quello che i grandi chiamano calcio. Questi bambini avevano solo cinque o sei anni, ma la partita era vera, una partita seria, con due squadre complete di allenatore, uniformi e una piccola folla di genitori che guardavano dalle scalinate. Non conoscevo nessuno, così ero libero di godermi la partita senza essere distratto dall’ansia per chi vinceva o perdeva. L’unico mio desiderio era che i genitori e gli allenatori potessero fare lo stesso. Le squadre grossomodo si equivalevano – le chiamerò squadra uno e squadra due. Nel primo tempo nessuno segnò. Guardare i bambini era divertente; erano goffi e pieni di foga come solo i bambini sanno essere. Inciampavano nei propri piedi, cadevano sopra il pallone, tiravano calci e mancavano la palla, ma non aveva alcuna importanza, si stavano divertendo. Nel secondo tempo, l’allenatore della squadra uno tolse quelli che probabilmente erano i giocatori della prima squadra e fece entrare le riserve, ad eccezione del suo miglior giocatore, che mise come portiere. La partita prese dei risvolti drammatici. Immagino che vincere sia importante anche a cinque anni, perché l’allenatore della squadra due lasciò in campo i suoi giocatori migliori e le riserve della squadra uno non potevano essere all’altezza della situazione. La squadra due era ammassata attorno al piccoletto in porta. Questi era un ottimo atleta per i suoi cinque anni, ma non poteva resistere contro tre o quattro giocatori bravi come lui. La squadra due cominciò a segnare. Il portierino fece del suo meglio, buttandosi senza paura davanti ai palloni in arrivo, cercando coraggiosamente di fermarli. La squadra due segnò due gol uno dopo l’altro. Il piccolo portiere si arrabbiò e cominciò ad infuriarsi, a gridare, correre e tuffarsi. Con tutte le forze che potè raccogliere, alla fine riuscì a coprire uno degli attaccanti che si avvicinavano alla porta, ma questi lanciò il pallone ad un giocatore che arrivava dall’altra parte e prima che il portiere potesse cambiare posizione era troppo tardi – fecero un terzo goal. Capii ben presto chi erano i genitori del portiere. Erano brava gente, dall’aspetto decoroso. Si capiva che il padre era appena uscito dall’ufficio, perché era ancora in giacca e cravatta. Gridavano per incoraggiare il figlio e io mi lasciai prendere dallo spettacolo: il bambino sul campo e i genitori sulle scalinate. Dopo il terzo goal, il bambino cambiò. Aveva capito che non poteva farci niente, non riusciva a fermarli. Non mollò, ma si chiuse in un silenzio disperato. Gli si vedeva in volto la frustrazione. Anche suo padre cambiò. Finora aveva spinto il figlio a fare del suo meglio, lanciando consigli e incoraggiamento, ma ora si lasciò prendere dall’angoscia. Cercò di dire che andava bene lo stesso, di resistere e basta. Sentiva tutto il dolore del figlio. Dopo il quarto goal, sapevo cosa sarebbe successo. Era una cosa che avevo già visto. Il bambino aveva un disperato bisogno d’aiuto e nessuno poteva aiutarlo. Raccolse la palla dalla rete, la porse all’arbitro e scoppiò a piangere. Si fermò in piedi, con le guance rigate di lacrime, poi si lasciò cadere in ginocchio. Il padre balzò in piedi, ma sua moglie lo prese per il braccio e disse: “Non andare, lo metterai in imbarazzo”. Ma il padre si divincolò, saltò giù dalla gradinata e corse in campo, nonostante il gioco fosse ripreso. Abito intero, cravatta, scarpe lucide e tutto, attraversò il campo e prese in braccio il bambino, perché tutti sapessero che era suo figlio; lo abbracciò, lo baciò e pianse con lui. Non ho mai provato tanto orgoglio per un uomo in vita mia. Lo portò fuori e quando arrivò al bordo del campo lo udii dire: “Sono orgoglioso di te. Sei stato bravissimo. Voglio che tutti sappiano che sei mio figlio”. “Papà”, singhiozzò il bambino, “non riuscivo a fermarli. Ci ho provato, papà, ci ho davvero provato, ma hanno continuato a battermi”. “Non importa quante volte ti battano. Sei mio figlio e sono orgoglioso di te. Voglio che ritorni in campo e finisci la partita. Lo so che vuoi rinunciare, ma non puoi farlo. Ti batteranno di nuovo, ma non fa niente. Vai, adesso”. Qualcosa cambiò, lo vidi subito. Quando sei da solo e ti fanno un gol, quando ti battono e non riesci a fermarli, è importante sapere che non ha alcuna importanza per le persone che ti vogliono bene. Articolo originariamente pubblicato nella rivista Contatto. Usato con permesso. Alex Peterson Coltivate il rispetto reciproco Il rispetto reciproco rinforza il legame affettivo tra genitori e figli. Genera anche unità, obbedienza e apprezzamento. All’interno di una famiglia il rispetto si manifesta mediante considerazione, comprensione, premurosità, disponibilità all’ascolto e comunicazione affettuosa. E funziona in entrambi i sensi: se volete che i vostri figli vi dimostrino rispetto, dimostrate rispetto a loro. I bambini imparano mediante l’osservazione e imitano quello che vedono. Se il problema è la mancanza di rispetto, probabilmente è iniziato con i genitori, i compagni, oppure altre influenze come la TV, i film o i giochi al computer. Ridurre al minimo le influenze negative è metà della battaglia; l’altra metà è stabilire chiare regole su ciò che ci si aspetta e poi mantenere costantemente quello standard. Potete dimostrare rispetto per i vostri figli in vari modi:
Evitate le incomprensioni A volte sembra che i bambini scelgano i momenti meno adatti per comportarsi male; e a volte non si tratta tanto di cattivo comportamento quanto di comportamento fastidioso. Quando i genitori sono sotto pressione, occupati da altri lavori o da altri pensieri, quando non si sentono bene o sono semplicemente di cattivo umore, il loro modo di comportarsi con i figli ne risente. Alcune cose che normalmente sono consentite o tollerate — un certo livello di rumore o di chiasso, per esempio — fanno perdere la pazienza ai genitori, provocando parole dure, punizioni più severe del necessario, od occhiatacce che dicono al bambino “sei nei guai”, ma lo lasciano confuso. I bambini di solito non vedono le cose nella loro totalità, quindi quando la frustrazione di un genitore raggiunge il punto di ebollizione, spesso si sentono più in colpa del necessario e questo può portare a conclusioni ancora più drammatiche: “La mamma vorrebbe che non ci fossi”, “Il papà non mi vuole bene”, “Sono un buono a nulla”. Evitate incomprensioni tanto dannose bloccandovi prima del punto di ebollizione e dando le giuste proporzioni al comportamento del bambino. “Mi piacerebbe sentirti cantare un’altra volta quella canzone, ma adesso devo concentrarmi sulla guida”. “Ho mal di testa, così per favore non fare così adesso”. E se non riuscite a bloccarvi in tempo, una spiegazione e delle scuse dopo l’accaduto aggiusteranno le cose. Dando al bambino l’opportunità di partecipare alla soluzione del problema, avrete trasformato in positiva una situazione potenzialmente dannosa. Rinforzo positivo Gli elogi sono un ottimo incentivo. I bambini prosperano con gli elogi. È più importante e proficuo elogiare un bambino per essersi comportato bene che sgridarlo per essersi comportato male. Ci sono volte in cui rimproveri e correzioni sono necessari, ma se imparate a prevenire i problemi con qualche elogio e altri rinforzi positivi svilupperete autostima nei vostri figli e finirete con l’essere meno scoraggiati, esausti e frustrati alla fine della giornata. È una strategia vincente su tutti i fronti. Più vi concentrate sul lato positivo, più cose troverete per cui elogiare vostro figlio e meno vi dovrete preoccupare di un cattivo comportamento. Un elogio incoraggia azioni degne di altri elogi. Siate costanti, sinceri e creativi, ma credibili. Per esempio, se il bambino cerca di fare qualcosa di nuovo, ma i risultati sono disastrosi, complimentatelo per lo sforzo, non per i risultati. Oppure, se voleva farvi una sorpresa ma il tentativo è riuscito in modo disastroso, elogiate le sue premure. Sottolineate sempre il lato positivo e premiate il bene. Articolo dalla rivista Contatto. Usato con permesso. Alex Peterson Quasi tutti i genitori si preoccupano del progresso dei propri figli ad ogni stadio della loro crescita. Per questo devono rendersi conto del ruolo importante svolto dall’immagine che il bambino ha di sé. I bambini che si vedono in modo positivo, che credono di poter avere successo, lo raggiungeranno molto più facilmente. I bambini iniziano a valutare se stessi e le proprie abilità nel contesto della loro famiglia. I genitori possono scoprire ogni giorno delle opportunità per sviluppare nei loro figli la fiducia in se stessi, che a lungo andare li aiuterà a diventare adulti completi e ben inseriti. Come risolvere i problemi I genitori spesso si sorprendono quando scoprono quanto i loro figli sono capaci e intraprendenti nella risoluzione dei propri problemi, con solo un po’ di aiuto. Tutti i bambini incontrano problemi; è una parte necessaria della loro crescita. È proprio affrontando queste sfide che acquistano le doti necessarie al successo nella vita. Ci vogliono tempo e pazienza per aiutare i bambini ad imparare a risolvere i loro problemi, ma è un buon investimento che darà i suoi frutti quando cresceranno, quando i loro problemi diventeranno più complessi e la posta in gioco sarà maggiore. A volte i genitori tendono a risolvere il problema o a dare la risposta troppo in fretta. Così facendo possono risolvere il problema del momento, ma ostacolano il processo d’apprendimento. È come nel proverbio: “Dai a un uomo un pesce e mangerà per un giorno. Insegna a un uomo a pescare e mangerà per una vita intera”. A lungo andare, insegnare a risolvere i problemi è più importante e più utile di fornire le soluzioni. Aiutare i bambini a venire a capo dei loro problemi dimostra anche la vostra fiducia in loro e quindi aumenta la fiducia e la stima che hanno di se stessi. Questione d’insicurezza Per quanto i genitori amino i propri figli e cerchino di venire incontro ai loro bisogni, sorgono sempre situazioni che provocano insicurezza nei bambini; questa insicurezza spesso si rispecchia in problemi comportamentali. Un cattivo comportamento va corretto, ma se i genitori non capiscono cosa l’ha provocato, la correzione può essere più dannosa che utile. La cattiva condotta viene dalla sperimentazione naturale dei bambini, da una cattiva idea che sembrava buona o divertente al momento? Oppure è il risultato dell’insicurezza, del tentativo di inserirsi, fare colpo o farsi amicizie nuove dopo essersi trasferiti in un quartiere nuovo o aver cambiato scuola, per esempio? Il cattivo comportamento è solo un sintomo, così la correzione di per sé è come strappare un’erbaccia senza sradicarla: dopo un po’ ricrescerà. I genitori devono individuare il problema e attaccarne la radice, la causa che ne sta alla base. A seconda dell’età e del livello di maturità del bambino, cercate di aiutarlo a raggiungere le proprie conclusioni partendo dal modo in cui è possibile risolvere il problema. Al momento forse non sarà facile, ma ricordate che l’obiettivo è correggere il problema, non punire il bambino. Facendo una chiara distinzione tra il problema e il bambino e poi coinvolgendo quest’ultimo per trasformare la situazione da problema ad occasione di apprendimento, è possibile aumentare la sua autostima invece di indebolirla, anche quando la situazione potrebbe sembrare assolutamente negativa. Non tutti i bambini si comportano male quando si sentono insicuri; alcuni si chiudono in sé o hanno risultati scolastici inferiori alle loro possibilità. In qualsiasi modo si manifesti la loro insicurezza, il primo passo per correggere il problema è riconoscerlo; il secondo è affrontarne la causa da un punto di vista positivo. Articolo dalla rivista Contatto. Usato con permesso. |
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