Jewel Roque
Tornando a casa dopo una serata con alcuni amici, ho chiesto al mio figlio più piccolo se si fosse divertito. «Più o meno», ha risposto. «Ma mentre giocavamo i bambini mi hanno preso in giro». «Per che cosa?» ho chiesto. A volte lui reagisce intensamente ai commenti che gli fanno, così ho pensato che non si trattasse di un granché. «Eric ha visto una foto di me addormentato mentre facevo i compiti, poi Leslie ha detto che l’ha vista anche lei e tutti hanno cominciato a ridere». Non sapevo come reagire. Avevo postato su Facebook una foto di mio figlio addormentato sulla sua scrivania, di fianco ai suoi compiti. Mi era sembrata carina. Mio figlio s’impegna a fondo in tutto quello che fa, ma quando è stanco, è stanco. E dorme. È una cosa di famiglia. Io e i miei fratelli sappiamo che una volta raggiunto un certo punto di stanchezza, non possiamo andare oltre. L’unica soluzione è dormire. In qualche modo mio figlio l’ha imparato presto. Quando è stanco, anche se stiamo per cantare buon compleanno a una festa o se deve finire i compiti, si addormenta. Mio marito ed io capiamo questa cosa e ci adeguiamo. Gli insegnanti di mio figlio, per la maggior parte, hanno anche loro imparato che a volte potrebbe addormentarsi sul banco. Io cerco di mandarlo a letto in tempo quando deve alzarsi presto o so che avrà una giornata lunga. Genitori e insegnanti in genere capiscono queste cose. Gli altri ragazzi no. Quando l’ho postata, non pensavo alla possibilità che alcuni genitori facessero vedere ai figli quella foto «carina», che agli occhi di un bambino potrebbe non essere «carina» ma «stupida» o «da ridere» o «imbarazzante». Il materiale giusto per prendere in giro. Una cosa che avevo fatto senza pensare ha finito per ferire mio figlio. L’ha messo in cattiva luce nella mente dei suoi amici. Probabilmente se ne sono dimenticati un minuto dopo e si sono rimessi tutti a giocare; ma a quel punto ho dovuto ammettere davanti a mio figlio che non era colpa loro ma mia. Gli ho fatto vedere la foto su Facebook e gli ho detto: «Ho postato questa foto tua, l’altro giorno. Non pensavo che qualcuno ti avrebbe preso in giro». Poi gli ho promesso: «Non posterò niente su di te senza chiedertelo prima». Avevo già quel tipo di accordo con altri membri della famiglia, ma pensavo che non sarebbe stato necessario farlo con il più piccolo. Mi sbagliavo. È strano che abbia fatto un errore del genere. Ripensando alla mia infanzia, le emozioni più forti erano state causate dalle prese in giro. Mi ricordo una mezza dozzina di occasioni diverse, prima dei cinque anni, in cui mi hanno fatto piangere. I momenti dolorosi tendono a restare nella mente e nel cuore molto tempo dopo che le parole sono state dimenticate. Quante volte le mie parole o i miei commenti casuali hanno lo stesso effetto di quelle dei bambini? Quando cerco di concentrarmi sul lavoro, e dopo un’interruzione di troppo, rispondo di scatto ai bambini, dicendo di lasciarmi in pace e farmi finire quel che sto facendo. Oppure, quando litigano e non riesco più a sopportarlo, dico loro che non m’importa chi ha detto che cosa e di chi è la colpa – voglio solo un po’ di pace. Dopo un’attenta riflessione, ho fatto il voto di vedere ogni momento della vita con gli occhi di mio figlio. Cioè non è una promessa che posso fare o mantenere, ma di certo posso provarci. Non una decisione assoluta, ma una scelta fatta momento per momento. Rallentare. Pensare. pregare. Amare. Cortesia della rivista Contatto. Usato per permesso.
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Sono qui seduta a fissare il segnalibro più bello che abbia mai posseduto, che ho attaccato di fianco allo schermo del computer. È la foto di una madre che abbraccia una bambina, con in fondo una citazione di Charles Dickens: «Non è cosa da poco, l’amore di questi piccoli venuti freschi freschi da Dio». Appena l’ho letta, quella citazione mi ha elettrizzato e ho deciso di usare il segnalibro per il mio prossimo progetto di lettura. Purtroppo, non l’ho messo subito al sicuro ed è rimasto, in attesa di quel futuro glorioso, sulla scrivania, proprio all’altezza giusta per essere scoperto e raccolto in fretta da una personcina bassa e carina: la mia bambina di tre anni. Il segnalibro aveva una piccola incisione triangolare sul lato superiore, per poterlo agganciare in cima alla pagina e tenere il segno. Quando ho notato che Kimberley l’aveva trovato, l’aveva già afferrata e strappata via per sbaglio. Sapevo che era stato un gesto innocente. Era chiaro: non voleva strapparlo intenzionalmente; stava solo cercando di vedere come funzionava. Ma siccome mi c’ero affezionata così tanto, mi è rimasta un po’ d’angoscia dentro. Le ho strappato i pezzi di mano e li ho messi via. Più tardi, dopo aver messo Kimberley a letto, ho preso i due pezzi del segnalibro e ho riletto la citazione. Improvvisamente l’intera esperienza mi ha colpito in maniera completamente diversa. Il segnalibro doveva proprio essere intero per essere speciale? Potevo rimetterlo insieme con un po’ di nastro adesivo e sarebbe stato quasi come nuovo – forse anche meglio di prima perché aveva qualcosa di nuovo: la prova di essere stato toccato da quelle manine che amo così tanto. Adesso quel segnalibro è due volte più speciale per me, adesivo e tutto. Sforziamoci di vedere le cose che sono, come dovrebbero essere; e poiché viviamo in un mondo imperfetto, accontentiamoci di gioire di quell’imperfezione, così che ogni tessera degli avvenimenti della giornata possa unirsi alle altre per formare il prodotto finale di una vita ricca e piena – non nella bellezza inespressiva della perfezione, ma nella pienezza dell’amore. —Anonimo Per gentile concessione della rivista Contatto. Utilizzato con il permesso.
z—Un adattamento natalizio di 1 Corinzi 13 Se decoro perfettamente la mia casa di rami d’agrifoglio, fili di luci intermittenti e palline colorate, ma non mostro amore, sono solo un’altra decoratrice. Se lavoro in cucina come una schiava, preparando biscotti e pasti da gourmet e apparecchiando a meraviglia la tavola, ma non mostro amore, sono solo un’altra cuoca. Se lavoro in una mensa per disagiati, eseguo canti natalizi nelle case per anziani e do in beneficenza tutto quel che ho, ma non mostro amore, non mi giova nulla. Se addobbo l’albero con angeli luccicanti e fiocchi di neve all’uncinetto, se partecipo a una miriade di feste e canto nel coro, ma non mi concentro su Cristo, non ho capito niente. L’amore smette di cucinare per abbracciare un bambino. L’amore accantona le decorazioni per dare un bacio al marito. L’amore è gentile anche quando è stanco e assillato. L’amore non invidia la casa di un’altra che dispone di un servizio di porcellana e di tovaglie di lino. L’amore non grida ai bambini di togliersi di mezzo, ma è grato che siano lì. L’amore non dà solo a chi è in grado di restituire, ma gioisce nel dare a chi non può farlo. L’amore sopporta ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. L’amore non viene mai meno. I DVD verranno graffiati, i giocattoli dimenticati, le sciarpe e i berretti persi, un computer nuovo avrà una versione più recente, ma il dono dell’amore durerà per sempre. Per gentile concessione della rivista Contatto. Utilizzato con il permesso. Foto: Krystine Lovett/Flickr
tutto in discussione e facevo fatica a rispettare le regole. Comunque, anche se avevo una facciata esteriore dura, dentro volevo solo trovare qualcuno che mi capisse davvero. Un giorno mi ritrovai a una riunione in cui ero l’unica ragazza giovane. Mentre gli adulti parlavano riuniti in gruppetti, io mi sedetti da sola in un angolo a guardarmi in giro, finché a un certo punto mi si avvicinò una signora che cominciò a parlarmi. Si chiamava Gioia. Alla fine decisi di aprirmi e le raccontai tutti i miei guai. Mi aspettavo che mi facesse una predica, invece si limitò ad ascoltarmi. Sentivo che si interessava a me. Non cercò nemmeno una volta di correggermi o di cambiare la mia opinione; cercò semplicemente di capirmi. Quella conversazione fu l’inizio di un’amicizia che continuò per sette anni, in mezzo a varie vicissitudini, fino al giorno della sua morte. Facevamo lunghe passeggiate insieme e a volte ci scrivevamo dei bigliettini sulle cose che erano più difficili da dire di persona. Ci mantenemmo in contatto per telefono e per posta anche dopo il suo trasferimento in un’altra città. Durante quei sette anni, Gioia fu spesso molto ammalata e vicina alla morte, ma non la sentii mai lamentarsi. Era vivace e appassionata. Gioia m’insegnò una cosa molto importante: che essere me stessa era OK. Allo stesso tempo m’insegnò anche a cercare di capire le persone più profondamente, a guardare al di là delle apparenze e a volte perfino al di là di ciò che dicono, ad accettarle per quel che sono e a mostrare loro un amore senza riserve. Anche se sembriamo tanto diversi, siamo fatti tutti dello stesso materiale e abbiamo tutti bisogno di amore, comprensione e approvazione. Quando qualcuno vede questo nostro bisogno e lo soddisfa, allora finalmente sbocciamo. Per gentile concessione della rivista Contatto. Foto di photostock/www.freedigitalimages.net
Renee Chang Nessuno tra le sue amiche e i suoi parenti riesce a capire perché l’abbia fatto e la maggior parte di loro vorrebbe farle cambiare questa stupida idea. Le loro obiezioni sembrano sensate. Dopotutto May ha passato i quaranta e vive da sola da quando sua figlia è uscita da casa. È anche piena di debiti. Tuttavia, ecco l'idea: ha deciso di allevare la bambina che il suo ex marito ha avuto da un’altra donna. Si era sposata giovane e aveva divorziato poco dopo i vent’anni, ma anche prima di quello aveva tirato su sua figlia da sola, perché il suo ex marito era un tossicomane e passava metà del tempo in prigione. Poi, una ventina d’anni dopo, era riapparso all’improvviso per chiederle un favore. Aveva avuto una figlia da un’altra donna e prima di tornare in prigione voleva che May la portasse in un orfanotrofio. La piccola Joline era stata abbandonata da sua madre e sembrava destinata a passare l’infanzia in un istituto. May invece era riuscita a tenere la bambina e l’ha allevata negli ultimi cinque anni. Non è stato facile. May lavora sodo per far quadrare i conti e Joline è una monella. Ma May è decisa. «La gente mi dice che Joline è un grosso peso e che non vale la pena dei sacrifici che faccio per prendermene cura. Ma nessuno chiede mai cosa ne penso io, o perché lo faccio. Alla fine della mia ultima relazione mi sembrava di aver perso ogni ragione per vivere; non avrei mai avuto una famiglia normale. Appena però ho visto il sorriso di Joline e ho sentito la sua manina stringermi un dito, mi sono resa conto che c’era qualcuno che mi voleva bene e aveva bisogno di me. Joline non è un peso, è una fonte di amore e di gioia». In quel momento si è avvicinata Joline, che ha buttato le braccia al collo di May e le ha dato un bacio sulla guancia. «Ti voglio bene, mamma. Sei la più brava del mondo!» Il volto di May si è illuminato d’orgoglio. E allora ho capito. May aveva ragione, anche se gli altri si erano fatti un’idea sbagliata. Invece di lasciarsi trascinare dalle sfortune e dalle avversità della vita in una spirale di autocommiserazione, aveva scelto di concentrarsi sul dare quello che le era rimasto. Così facendo ha anche trovato la felicità che le sfuggiva. Articolo gentile concessione della rivista Contatto. Usato con permesso. Foto: Wilson Carrol via Flickr.
Non c’è una formula magica per essere genitori, non esiste una ricetta segreta per il successo. Proprio come io sono una madre imperfetta, così alleverò dei figli imperfetti. Devo appoggiarmi di più a Gesù e camminare per fede, seguendo Lui mentre faccio il mio lavoro di genitrice. Il mio obiettivo deve essere la fedeltà. Fede e fedeltà. --Erika Dawson * Ai genitori di successo piace essere genitori, non perché è facile o dà gratificazioni immediate, ma per via della pura gioia e del privilegio di collaborare con Dio a plasmare un’altra vita unica e preziosa. Qualunque genitore di figli già grandi ti dirà che “crescono così in fretta”. I genitori di successo lo tengono a mente e cercano di assaporare ogni giorno che passano con i figli. S’immergono il più possibile nei figli e se li godono — anche i giorni dei pannolini sporchi, delle malattie e delle delusioni. Non si limitano ad amare i figli, gli piacciono e non vedono l’ora di passare tempo con loro. I genitori di successo non si aspettano la perfezione, né da se stessi né dai loro figli. Fare i genitori è un’arte, non una scienza. I genitori di successo capiscono che, come loro, anche i figli non sono perfetti. Questo li rende liberi di amarli senza riserve. I genitori di successo non hanno paura di insuccessi occasionali. Capiscono che gli errori sono una parte normale, perfino salutare, dell’allevare figli. Prendono le decisioni migliori che possono e, quando sbagliano, imparano dagli errori e cercano di fare meglio la volta successiva. I genitori di successo non si aspettano che tutto sia una passeggiata. I figli hanno le proprie opinioni, personalità e preferenze. Inevitabilmente ci fanno dire: “Cosa t’è venuto in mente?” — o: “Ma cosa credevi di fare?” È nostra responsabilità dare loro dei limiti e delle indicazioni che a volte si scontreranno con il loro crescente desiderio d’indipendenza. I genitori di successo non si sorprendono per [le difficoltà e i conflitti], se li aspettano; ma capiscono che la loro responsabilità nei confronti dei figli non è quella di compiacerli o accontentarli sempre, ma di prendere le decisioni difficili che a lungo andare saranno meglio per loro. I genitori di successo non fanno tutto da soli. Nessuno ha l’esperienza o le risposte necessarie per ogni sfida che si presenta. I genitori di successo non sono riluttanti a ricorrere alla saggezza di altri. Sanno che alla fin fine la decisione spetta a loro, ma prima di arrivare a quel punto c’è molta saggezza per strada che aspetta solo di poterli aiutare. --Richard Patterson, Jr. * Un giorno un gruppo di madri stava discutendo solennemente il valore del passare tempo “di qualità” con i loro piccoli. Il consenso generale sembrava essere che, anche se era noioso spingere macchinine sul pavimento, giocare a Candyland o costruire astronavi con il Lego, queste attività erano qualcosa di sacro ed essenziale per creare un legame con i figli. Improvvisamente la voce di una madre si alzò sopra le altre: “Scusate… io sono molto chiara con mia figlia. Le dico semplicemente che non gioco con le Barbie”. Il tono per niente dispiaciuto di quell’affermazione bloccò tutte immediatamente. Cominciammo a parlare del vero significato di “tempo di qualità”. [Cominciammo a parlare di come], per definizione, il tempo di qualità può essere così stressante e pieno di “cose giuste” da fare, che si perde la sensazione di fare qualcosa che piace ad entrambi. A volte il tempo migliore che si passa con i bambini è quello privo di quell’elemento di obbligo o sacrificio. Brevi momenti piacevoli possono essere più importanti di ore dedicate alle Barbie e alle figurine dei calciatori. Come qualcuno ha detto una volta: “Gli attimi di gioia sono più facili da cogliere che da insegnare”. --Nancy Samalin con Catherine King * Il modo più sicuro di insegnare qualcosa ai tuoi figli è e con il tuo stesso esempio — non quello che predichi loro, non quello che dici loro che dovrebbero fare, ma quello che tu stessa credi e fai. --Gesù, parlando in profezia * Quando i genitori sono abbastanza coraggiosi da [chiedere scusa] ai figli per i propri difetti e le proprie mancanze, forniscono uno splendido modello di cosa vuol dire dipendere da Dio. Quando siete aperti e trasparenti davanti a Dio e ai vostri figli, in pratica state dicendo: “Anche se sono molto più grande, anch’io dipendo da Gesù, proprio come voglio che faccia anche tu”. Un altro vantaggio dell’essere onesti davanti a Dio e ai vostri figli è che li motiverete a venire da voi per esporvi i loro veri sentimenti. È più facile che vi confidino i loro problemi e le loro debolezze, se sanno che siete passati per le stesse cose. Penseranno: La mamma non si arrabbierà per questo, perché è successo anche a lei. Fate vedere ai vostri figli che dipendete dall’amore onnicomprensivo e dalla forza di Dio nella vostra vita. Siate un modello della sottomissione a Dio per vostro figlio e lui imparerà a sottomettere la sua vita a Dio. --Kevin Leman * Hai mai visto un’anatra con tutti i suoi anatroccoli? Mamma anatra sembra molto calma, tranquilla e composta mentre nuota nello stagno con i suoi piccoli, ma sta continuamente attenta a loro. Questo è un esempio della calma dello spirito che aiuta i tuoi piccoli a sentirsi sicuri. Ci saranno sempre più cose da fare del tempo necessario a realizzarle ed è molto facile cadere in uno spirito affrettato e nervoso. Quando succede, puoi fare uno sforzo consapevole per restare calma e trasmettere quella calma ai tuoi figli. Quando la pressione comincia ad aumentare, fermati un attimo, chiudi gli occhi e chiedimi di riempirti della pace perfetta che viene dal confidare in me. --Gesù, in profezia * Io alzo gli occhi ai monti: da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dall’Eterno, che ha fatto i cieli e la terra. --Salmi 121,1-2 * Egli dà forza allo stanco e accresce il vigore allo spossato. I giovani si affaticano e si stancano, i giovani scelti certamente inciampano e cadono, ma quelli che sperano nell’Eterno acquistano nuove forze, s’innalzano con ali come aquile, corrono senza stancarsi e camminano senza affaticarsi. --Isaia 40,29-31 Text courtesy of www.anchor.tfionline.com. Photo copyright: alexandralexey / 123RF Stock Photo Non sono soli i bambini a crescere, anche i genitori lo fanno. Come noi osserviamo cosa fanno della loro vita i nostri figli, anche loro guardano quello che noi facciamo della nostra. Non posso dire ai miei figli di mirare alle stelle. L’unica cosa è farlo io stesso. —Joyce Maynard Nessuno mi ha mai promesso che sarebbe stato facile, e non lo è; ma è anche un piacere vedere i miei figli crescere, prendere decisioni da soli e lanciarsi per conto proprio come esseri umani indipendenti, forti e simpatici. E mi piace anche quello che sto diventando io. Avere figli mi ha reso più umano, più flessibile, più umile e più indagatore. —Un padre anonimo Non so su che pianeta vivessi quando ho pensato che una volta diventata madre, avrei semplicemente saputo tutto il necessario. Non ci volle molto prima di rendermi conto che fare il genitore, nonostante le innumerevoli gioie che ha portato nella mia vita, è un lavoro duro. Essere un genitore ha significato adattare le mie aspirazioni e le mie priorità alla mia nuova realtà. Ogni giorno è un processo di apprendimento, man mano che mi adatto ai bisogni in continuo mutamento dei miei figli. —Katiuscia Giusti I bambini ci tengono sotto controllo. Le loro risa impediscono ai nostri cuori di indurirsi. I loro sogni garantiscono che non perdiamo mai la nostra motivazione a costruire un mondo migliore. Sono i migliori istruttori conosciuti dall’umanità. —Rania, regina di Giordania, sulla rivista Hello Quando lo si vede solo come badare alla crescita di un bambino, fare i genitori può essere un lavoro frustrante e pesante. Comunque, quando è visto come un’opportunità per crescere personalmente come adulti, diventa una delle esperienze più valide e creative che la vita possa offrire. Ci dà opportunità di migliorare noi stessi e di allargare i nostri orizzonti, mentre modelliamo per i nostri figli le qualità che vorremmo vedere in loro. Per alcuni di noi, i nostri figli ci danno una possibilità di diventare i genitori che vorremmo aver avuto. —Jack C. Westman Se dovessi crescere di nuovo mio figlio, costruirei prima la sua autostima e poi la casa. Dipingerei di più con le dita e le punterei di meno. Correggerei di meno e comunicherei di più. Toglierei gli occhi dall’orologio e mi guarderei di più intorno. Farei più passeggiate e farei volare più aquiloni. Smetterei di comportarmi seriamente e m’impegnerei di più nel gioco. Correrei di più nei prati e guarderei di più le stelle. Darei più abbracci e meno strattoni. —Diane Loomans Testo per gentile concessione della rivista Contatto
Maria Fontaine La maternità, l’essere madri, può anche avere i suoi alti e bassi, ma quando ci fermiamo a pensare alle cose che sono veramente grandi, importanti e meravigliose in questo mondo, quella che la maggior parte delle persone metterebbe in cima all’elenco o quasi è proprio la persona meravigliosa che è una madre. Come fanno, le madri? Qual è il segreto di quella pazienza, quella sopportazione e quell’amore apparentemente illimitati che sembrano continuare a rivivere nonostante tutti gli ostacoli della vita? Ecco alcuni dei miei pensieri sulle madri: cose che le madri fanno, o sono, che le rendono tanto speciali. Quello che i figli ricevono dal cuore di una madre — un cuore che è stato spezzato, schiacciato, rifatto e ricolmato molte volte — è la fiducia di essere stimati e amati nonostante tutto e di poter avere sempre una speranza. * Ogni madre che ha dato generosamente ai suoi figli ha messo nel loro cuore e nel loro spirito un poco di sé — la propria vita, la propria compassione, la propria speranza — grazie al suo amore, alla sua pazienza e alle sue cure. * Se pensi che le tue mancanze, le tue colpe e i tuoi difetti abbiano messo in svantaggio i tuoi figli, anche se li hai amati e hai dato loro tutto quello che potevi, forse vorrai riflettere su come anche il grande amore perfetto che Dio ha per tutta l’umanità non garantisca che riusciamo tutti perfetti e privi di errori, insuccessi o problemi. Per quanto tu possa fare un ottimo lavoro come madre, non esiste nessuna garanzia che i figli a cui dedichi la vita verranno fuori come vorresti tu. Ma una cosa è certa: il tuo intervento amorevole nella loro vita —il tuo esempio, l’educazione e le cure che dai loro e le preghiere che fai per loro — farà sempre una differenza per il bene. * Non hai mai avuto un figlio? Se ti sei presa cura di un bambino che aveva bisogno di te, sei una madre anche tu. Hai impresso un piccolo segno in quella vita. * Essere una madre costa. Costa, nella mancanza di libertà di fare quello che si vuole. Costa, nel pensare prima ai propri figli ogni giorno. Come ha detto uno scrittore, parlando di sua madre: “Vedo i sacrifici fatti per me e i sogni imprigionati, perché i miei fossero liberi”.[1] La maternità costa, perché non sopporta solo i propri dolori e i propri dispiaceri, ma anche quelli delle persone di cui si prende cura. Costa, nel combattere le loro paure oltre alle proprie e preoccuparsi ogni volta che i figli cadono. Costa, nel cercare di radunare un po’ più di energia, quando le forze sono quasi esaurite ma è necessario averne ancora per sollevare chi cerca forza in te. Costa quando sembra che non ci siano più speranze, ma si sa che non ci si può arrendere per amor loro, e si spera contro ogni speranza, finché non li si vede di nuovo in piedi. * L’amore di una madre è così soprannaturale che non può essere spiegato. Come ha scritto un poeta: Non lo si può definire, va oltre ogni spiegazione; rimane sempre un segreto, come un mistero della creazione. Un miracolo meraviglioso che l’uomo non può afferrare, un’altra prova stupenda della mano divina, tenera a guidare.[2] * Quali sono le qualità personali che influenzano i nostri figli in maniera positiva? Eccone alcune: a. Un amore incondizionato per loro e per gli altri. b. Un equilibrio tra standard morali e compassione e misericordia, che insegni loro il perdono e la tolleranza, insieme alla forte convinzione di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. c. Preghiera, fede e fiducia, come parte integrante del rapporto con i nostri figli. d. L’esempio di fiducia e di fede che dimostriamo nel nostro modo di reagire alle pene e ai dolori che entrano nella nostra vita e in quella degli altri. e. La capacità di recupero dopo gli errori e gli insuccessi, insieme alla ricerca di come imparare dalle esperienze, così che i nostri figli possano vedere che c’è uno scopo dietro ai loro errori e non debbano sentirsi in colpa. f. L’umiltà nell’amare Gesù più di ogni altra cosa e seguire i suoi passi. [1] Robert Church.
[2] Anonimo. Ho portato mia figlia Helen (di otto anni) e mio figlio Brandon (cinque anni) a fare un po’ di spesa al centro commerciale Cloverleaf, ad Hattiesburg. Mentre entravamo nel parcheggio, abbiamo visto un lungo autoarticolato, con un grosso cartello che diceva: “Zoo: animali da accarezzare”. I bambini sono subito saltati su e hanno chiesto: “Papà, papà, possiamo andarci? Per favore. Ti prego, possiamo andare?” “Certo”, ho risposto, e ho dato a entrambi qualche soldo prima di entrare nel supermercato. Sono partiti a razzo ed io mi sono sentito libero di andare a cercare con calma una sega di cui avevo bisogno. Lo zoo consisteva in un recinto portatile nel cortile del centro commerciale, con una quindicina di centimetri di segatura per terra e un centinaio di animaletti pelosi di tutti i tipi. I bambini pagavano l’ingresso e restavano dentro il recinto, affascinati dalle piccole creature che si dimenavano, mentre i genitori facevano la spesa. Alcuni minuti dopo mi sono girato e mi sono accorto che Helen mi seguiva. Mi ha colpito il fatto che preferisse il negozio di ferramenta allo zoo. Per di più, pensavo che i bambini dovessero aspettare che i genitori venissero a prenderli. Mi sono chinato e le ho chiesto se c’era qualcosa che non andava. Mi ha guardato con quei suoi occhioni marroni e ha detto con tristezza: “Be’, papà, costava di più, così ho dato i miei soldi a Brandon”. Poi ha detto la cosa più bella che abbia mai sentito. Ha ripetuto il nostro motto di famiglia: “L’amore è azione!” Aveva dato i suoi soldi a Brandon — e non c’è nessuno che adora gli animaletti da coccolare più di Helen. Per anni, in casa aveva sentito me e mia moglie dire: “L’amore è azione!” e metterlo in pratica. Aveva sentito e visto “amore in azione” e adesso l’aveva incorporato nel suo piccolo stile di vita. Era diventato parte di lei. Cosa pensate che io abbia fatto? Be’, non quello che potreste pensare. Per prima cosa siamo tornati nel piccolo zoo, dato che Brandon era rimasto da solo. Siamo rimasti alla staccionata a guardare Brandon che impazziva ad accarezzare e nutrire gli animali. Helen è rimasta lì, con le mani e il mento appoggiati alla barriera, a osservare Brandon. Avevo la cifra giusta che mi bruciava in tasca, ma non l’ho offerta a Helen, e lei non me l’ha chiesta. Perché conosceva il motto completo della nostra famiglia. Non è “l’amore è azione”, ma “l’amore è azione e sacrificio”. L’amore paga sempre un prezzo. L’amore costa sempre qualcosa. L’amore è costoso. Quando si ama, i profitti vanno sul conto di un altro. L’amore è per te, non per me. L’amore dà; non afferra. Helen ha dato la sua moneta a Brandon e ha voluto imparare la lezione fino in fondo. […] Voleva fare un’esperienza completa del motto di famiglia. L’amore è azione e sacrificio”. --Dave Simmons, “Dad, The Family Coach” Per gentile concessione di Anchor. Josie Clark Mentre correvo per le strade di Morelia, una città messicana, notai dei mendicanti a ogni semaforo. Era la vigilia di Natale ed ero uscita con mia figlia di dieci anni a fare qualche ultima compera. «Guarda quella signora!» Cathy diresse la mia attenzione su una vecchia che aveva smesso momentaneamente di mendicare e si stava stropicciando i piedi infreddoliti. «È la nonna di qualcuno» ho pensato a voce alta «ma invece di stare a casa con la sua famiglia è qui fuori a piedi nudi, cercando di mettere insieme qualche soldo per il pranzo di Natale». Poi mi ha colpito un’idea. «Cathy, andiamo a casa e mettiamo insieme qualcosa da mangiare per lei». Si stava già facendo buio, così probabilmente non si sarebbe fermata molto a lungo a quel semaforo. Tornammo a casa di corsa, trovammo un paio di borse e cominciammo a ispezionare la dispensa e il frigorifero. Riso, fagioli, peperoncini secchi, un barattolo di salsa, tortillas, un pollo. Era facile riempire le borse con tutto quello che avevamo. Una pagnotta, prosciutto, pancetta. Chiusi le borse con dei nastri colorati e uscimmo a cercare la donna. All’inizio pensammo di averci messo troppo tempo e che fosse già tornata a casa, poi la vedemmo camminare lentamente davanti a noi, stringendosi addosso uno scialle, probabilmente diretta a casa. «Salve!» la salutò Cathy, per poi continuare in spagnolo: «L’abbiamo vista al semaforo e le abbiamo portato un po’ di cibo per il pranzo di Natale. Speriamo che lei e la sua famiglia possiate sentire l’amore di Dio questo Natale». La vecchia ci guardò con stupore e gli occhi le si riempirono di lacrime. Poi prese le mani di Cathy e le baciò. «Grazie, grazie. Dio ti benedica. Sei bellissima, sei un angelo di Natale». Accettò le borse e continuò per la sua strada. La nostra vigilia di Natale fu allegra, come al solito, e la mattina successiva Cathy aprì i suoi regali. Quando le chiesi se si stava divertendo, mi rispose: «Sai, mamma, vedere quella vecchia così felice ieri sera e poi quando mi ha baciato le mani, è stato il regalo migliore. Penso che dare agli altri sia la parte migliore del Natale!» Per gentile concessione della rivista Contatto.
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