Jay Phillips Oggi sono andato con i figli di alcuni amici a fare una passeggiata nei campi attorno al villaggio in cui viviamo, una zona di fattorie, campi, strade di terra battuta e boschetti. Il tempo era bellissimo, così per i bambini era una buona opportunità di respirare un po’ d’aria pura e fare un po’ di moto correndo attorno alla ricerca delle piccole creature che sono così abbondanti in primavera e in estate. Era una pausa piacevole anche per me. Fuori sui sentieri di campagna non ci sono computer, non c’è lavoro da fare, non ci sono telefonate, faccende, riunioni; niente pulizie da fare e nessuna delle migliaia di altre cose che ci tengono occupati la maggior parte del giorno. Il tempo sembra quasi fermarsi quando siamo in mezzo alla natura... almeno fino a quando i bambini non gridano eccitati: “Una coccinella!” – “Un ragno!” – "Una lumaca!" – ma anche quegli improvvisi suoni d’allarme vanno bene, perché di solito bastano pochi minuti di pace per schiarirmi la mente. Quando Gesù disse che se non diventiamo come bambini non possiamo entrare nel regno dei Cieli (Matteo 18,3), forse non stava parlando solo del Paradiso a venire, ma anche della pace e di quel po’ di paradiso che proviamo ogni tanto nel nostro cuore quando mettiamo da parte le nostre preoccupazioni, tranquillizziamo la nostra mente e il nostro spirito e ci sintonizziamo sulla voce divina che ci parla attraverso la creazione. Sembra che i bambini sappiano farlo naturalmente. Non si preoccupano del lavoro ancora da fare, o dei conti da pagare; sono semplicemente pieni d’energia e d’eccitazione per la vita, felici di avere una persona grande che si prende cura di loro e scatta foto delle loro attività. Non dovremmo avere più pace anche noi, sapendo che c’è una Persona Grande che si prende cura di noi e, sono sicuro anche di questo, scatta istantanee della nostra vita? Per gentile concessione della rivista Contatto. Foto da Wikimedia Commons.
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Laura Boggess Quando ero piccola, correvo più veloce che potevo a braccia allargate, lasciando che il vento facesse forza sotto le mie ali improvvisate. Ero un aereo, un uccello, un drago, volavo sopra regni immensi. Quando di notte faceva capolino la luna, quelle ali mi sollevavano dal mio letto e mi portavano in cielo, in mezzo a polvere di stelle e più in là di comete infuocate — le cortine dei cieli si spalancavano per ricevermi. E là incontravo Dio — volavo dritto fra le sue braccia e mi facevo cullare fino a cadere addormentata nel suo grande grembo. Crescendo, ho imparato i limiti del nostro mondo naturale. Il mondo è diventato più piccolo e Dio sembrava lontano anni luce. Sono arrivata a capire che la fede è essere certi di quello che non si vede e gli incontri notturni della mia infanzia con un Dio invisibile si sono affievoliti e sono diventati un dolce ricordo. La mia conoscenza aumentava sempre di più e la mia fede cresceva; tuttavia, sempre di più, agognavo a quella dolce comunione di un tempo. Qualche anno fa, in una bella serata nevosa, sono andata a fare una passeggiata con i miei due figli piccoli. Mi ricordo come sono corsi in avanti, giocando e ruzzolando come solo i fratelli sanno fare, lasciandomi indietro nella scia delle loro risate. Sono rimasta da sola sotto quel cielo bianco e ho alzato gli occhi. Davvero una volta avevo volato in quegli stessi cieli, con le guance arrossate e gli occhi pieni di stelle? Quando avevo smesso di credere che con Dio tutto è possibile? O piuttosto: quando la mia fantasia si era rimpicciolita tanto da farmi smettere di aspettarmi l’impossibile? Quando i miei piedi si erano così radicati nella crosta terrestre da lasciare che la gravità appesantisse la mia idea di Dio? Dev’essere successo quando avevo sette o otto anni. Per lo meno è quello che suggerisce la teoria di Jean Piaget dello sviluppo cognitivo. Secondo lui, lo stadio preoperativo del pensiero, che va approssimativamente dai due ai sette anni, è caratterizzato dallo sviluppo del pensiero simbolico, della memoria e della fantasia, tutti elementi che permettono l’applicazione del gioco creativo. Questo tipo di pensiero, basato sull’intuizione invece che sulla logica, rende difficile la comprensione di causa ed effetto, tempo e confronto tra concetti. Gli esperti la vedono come una limitazione, ma il mio vocabolario definisce l’intuizione come il discernimento di una verità non percepita dalla mente cosciente. A me dà l’idea che sia il luogo in cui lo Spirito Santo tocca la mia consapevolezza, guidandomi di qua o di là. Il mondo potrebbe vederla come una limitazione, ma io mi chiedo… Quando il nostro cervello raggiunge lo stadio in cui è in grado di usare la logica, le strutture dello stupore nel nostro cervello devono per forza ridursi per lasciarle spazio? Se è così, come facciamo a espanderle di nuovo? Come possiamo noi adulti, avendo passato da molto lo stadio preoperativo indicato da Piaget, recuperare la gioia pazza della meraviglia? Come posso tornare a visitare quel posto, dove lo Spirito Santo comincia a toccare la mia consapevolezza e a guidarmi di nuovo, offrendomi il suo intuito e il suo discernimento? In Matteo 18, Gesù ci dice che se non diventiamo come bambini piccoli non entreremo mai nel regno dei cieli. Chi si abbassa come questo bambino è il più grande nel regno dei cieli, disse. Cosa può voler dire? Come posso avvicinarmi a Gesù come una bambina? Quella serata fredda di febbraio mi è giunta una risposta — sulle ali delle risate nella neve. Il gioco. Ma che aspetto può assumere il gioco nel mio mondo adulto? Nel suo libro Il gioco: come modella il cervello, apre la fantasia e invigorisce l’anima, il Dott. Stuart Brown dice che quando c’immergiamo nel gioco, il nostro senso d’imbarazzo diminuisce e perdiamo la cognizione del tempo. Il gioco ci permette di vivere pienamente in ogni momento. Ho cominciato a praticare l’attività del gioco, perdendomi completamente, stando in piedi davanti alla finestra, osservando un cardellino sbucciare un seme di girasole. Le ore passate a strappare erbacce in giardino passano come secondi — il profumo delle piante di pomodoro mi lascia inebriata. E quando il sole brilla sull’acqua, lasciandosi dietro una scia rosata, mi sento trascinata nel passaggio creato dalla luce in mezzo all’acqua. Il gioco mi ricorda come ci si sente da bambini — innocenti, tutto è nuovo. Dio m’invita a giocare ogni volta che invita il mio cuore a vedere la bellezza. Quella sera nella neve, con le risa dei miei figli che echeggiavano nelle strade, ho sentito quell’incitamento interiore. Ho sentito l’invito. Ancora una volta, ho allargato le braccia ai miei fianchi, ho disteso le ali. Questa mamma quarantenne si è lasciata libera di planare in cerchio, facendo scorrere il vento sotto le sue ali improvvisate. E ho volato. Dritto tra le braccia di Dio. * Il gioco ha un aspetto diverso per ogni persona. Quali semplici attività giocose sono adatte alla tua personalità e possono aiutarti a creare un contatto più intimo con Dio, facendoti diventare come un bambino o una bambina? Per gentile concessione di Anchor. Foto di Lesley Show via Flickr.
Molti adulti osservano un bambino pieno di gioia che si diverte a giocare e per un momento desiderano tornare piccoli. I bambini sembrano così tranquilli, così felici, senza quasi nessuna preoccupazione. Ridono facilmente, si divertono con quel che fanno e si eccitano per le cose più semplici. In genere hanno piccole preoccupazioni momentanee che raramente durano più di pochi minuti o un’ora. Probabilmente passano molto più tempo di te semplicemente felici e occupati. Perché sembrano avere tanta pace? Chiaramente hanno molto meno lavoro da fare, ma questa non è la ragione principale. Ciò che dona loro così tanta pace del cuore e della mente non è tanto la mancanza di lavoro, quanto la quasi completa assenza di paura per il futuro. Più piccoli sono, meno è probabile che temano il futuro. Man mano che i bambini crescono si trovano di fronte più problemi e pressioni; ben presto cominciano a preoccuparsi un po’ per una pagella, poi cominciano a guardarsi allo specchio e a chiedersi se crescendo saranno brutti. Quando cominciano ad avvicinarsi all’età adulta le preoccupazioni per il futuro aumentano e in alcuni cominciano a superare l’entusiasmo per le cose semplici della vita. Prima ancora di rendersene conto, sono adulti con ogni responsabilità — e molte paure e preoccupazioni. La paura e la preoccupazione per il futuro purtroppo entrano a far parte della vita di un adulto, in una certa misura, a seconda di quanto uno è portato a preoccuparsi. Alcuni hanno più responsabilità quindi più cose di cui preoccuparsi. Altri sono più portati al timore per via della loro personalità. Altri hanno paura e si preoccupano a causa di esperienze negative del passato. Ma alla fin fine tutti si preoccupano di tanto in tanto. Tutti voi dovete affrontare paure e preoccupazioni regolarmente, che si tratti del lavoro, dei figli, della salute o del lavoro. Ovviamente non potete diventare bambini al punto da non avere responsabilità, o lavoro da fare, e giocare tutto il giorno in un mondo immaginario, ma potete lo stesso imparare dal loro esempio e vivere di più per il momento godendovi le cose semplici della vita. Ecco alcuni esempi delle semplici gioie della vita che troppo spesso vengono trascurate:
Alcuni di questi esempi potrebbero sembravi sciocchi. Potrebbero sembrare uno spreco di tempo, quando ci sono così tante cose da fare. Respirate profondamente. Fate un altro respiro. Adesso dedicate qualche minuto a pensare a cose che vi rendono felici. Dimenticate i vostri problemi. Dimenticate la giornata. Apprezzate le cose belle della vita. È bello, vero? Ma se non vi sentite ancora bene, succederà quando diventerete più come un bambino e vi abituerete a godervi le cose semplici della vita. Godiate la vita in continuazione — non a scatti potenti ma brevi. Passiate tempo a ridere con gli altri e amarli, non a spadroneggiare su di loro, competere con loro o risolvere problemi. Amiate, viviate e godiate qualcosa ogni giorno. Ogni singolo giorno! Testo per gentile concessione di www.anchor.tfionline.com.
Di Ruth Cortejos Come genitori desideriamo che i nostri figli vadano d’accordo con gli altri bambini. Quando la mia prima figlia, Danae, cominciò a giocare con gli altri bambini, cercai di insegnarle a comportarsi gentilmente e sotto molti aspetti se la cavava bene: faceva nuovi amici, non litigava, era attenta e premurosa e lasciava perfino che io giocassi con gli altri bimbi. L’impresa più grande fu insegnarle a condividere i propri giocattoli. Per darle più opportunità di imparare a farlo, cominciammo a invitare altri bambini della sua età a venire a giocare con lei. Quel piccolo passo fu la chiave per aiutare Danae a scoprire che è divertente condividere con gli altri le proprie cose, una lezione che a quanto pare dovevo ripassare anch’io. Una sera Danae aveva invitato la sua amica Natalie a giocare con lei. Era una delle sue compagne di gioco più assidue e uno dei loro giochi preferiti era un mazzo di carte illustrate di un gioco chiamato “La pesca”. Anche se le bambine erano troppo piccole per seguire tutte le regole e giocare come si doveva, a loro piaceva guardare le illustrazioni e trovare quelle uguali. Quella sera, dopo che Natalie tornò a casa sua, Danae venne da me, mostrandomi tre o quattro carte del gioco, e mi disse: “Mamma, voglio regalarle a Natalie. Sono le carte che le piacciono di più”. Cercai di spiegarle che non volevo che le desse via perché il mazzo non sarebbe stato completo, ma Danae insistette: “Voglio davvero dargliele”. Cercai di nuovo di spiegare: “Danae, queste carte fanno parte del gioco. Se le dai a Natalie, non le avremo più e il mazzo avrà delle carte in meno”. “Fa lo stesso, mamma, perché io ho le altre carte”. Pensai che forse non aveva capito che quel che è dato è dato, così cercai di dissuaderla. “Se le dai a Natalie, non potrai fartele restituire domani. Una volta che gliele hai date sono sue”. Danae fece un’espressione preoccupata. Per un attimo fui contenta che cominciasse a capire. Ma poi sorrise e disse: “Va bene, voglio dargliele lo stesso”. Cosa potevo dire? Mi sedetti un attimo a pregare, poi mi venne in mente: avevo cercato così tanto di insegnarle a condividere le cose e adesso che aveva imparato quella lezione così importante stavo cercando di fermarla. Cosa stavo facendo? Stavo per fare uno stupido errore. Che importanza aveva che il gioco rimanesse incompleto? Se necessario se ne sarebbe potuto trovare un altro. L’importante era che mia figlia stava imparando la gioia del dare, che stava pensando agli altri invece che a se stessa, che stava cercando di rendere felice la sua amica. Non è così che dovrebbe essere la vita? Quel giorno mia figlia mi insegnò una lezione su cui vengo ancora messa alla prova. Ora ho tre figli e ogni tanto uno di loro viene da me con un giocattolo o un peluche che vogliono regalare a un amico. Spesso il mio primo pensiero è di dissuaderli, ma se mi fermo a pensarci giungo sempre alla stessa conclusione: le cose non durano in eterno, ma i figli sì. I valori che instillo nei miei figli oggi faranno parte di quel che loro saranno domani. Articolo gentile concessione della rivista Contatto. Usato con permesso.
D.B. Berg Vale la pena di essere bambini. Anzi, Gesù disse: “Se non … diventate come piccoli fanciulli, voi on entrerete affatto nel regno dei cieli” (Matteo 18,3) e “lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché loro è il regno di Dio” (Marco 10,14). Dobbiamo essere come bambini affettuosi, dolci, con una fede infantile pronta a credere e ricevere tutto ciò che il Signore vuol darci. I bambini sono esempi dei cittadini del Paradiso, come piccoli angeli caduti dal Cielo. Arrivano freschi freschi dal Cielo, quindi capiscono la preghiera e gli altri argomenti spirituali meglio di molti adulti. Parlano a Dio e Lui parla loro. È semplicissimo. Non hanno assolutamente problemi a farsi capire da Lui, con la loro fede pura, semplice e infantile. Ai bambini è dato di essere ricchi in fede. Avere fede è una cosa naturale per loro. Hanno fede di credere a qualsiasi cosa Dio dica; per loro niente è impossibile. Il problema della maggior parte degli adulti è che sanno troppo. La loro istruzione li ha privati della loro fede infantile; ma ci sono altri, pieni di fede e fiducia infantile, che ogni giorno fanno cose che secondo gli intellettuali dubbiosi sono impossibili. Quindi siate come bambini – e qualsiasi cosa meravigliosa potrà accadere! Pubblicato originariamente nella rivista Contatto. Usato con permesso. Chalsey Dooley Era una cosetta da nulla, quel sorriso sul volto del mio bambino, ma ha cambiato IL mio modo di vedere la vita. Quando si è svegliato e mi ha guardato, stava guardando ciò che gli importava di più al mondo... me! Non gli importava che il suo pannolino avesse bisogno d’essere cambiato o che io indossassi un pigiama spaiato e i miei capelli fossero scompigliati. Mi amava e basta e amava stare con me. Non aveva bisogno di perfezione; l’amore aggiustava tutte le cose. Appena l’ho preso in braccio e ho assorbito quei raggi d’amore, mi si è chiarita una cosa cui stavo pensando in precedenza. La mancanza di perfezione nella vita mi ha sempre preso per il verso sbagliato. Quando qualcuno diceva o faceva qualcosa che mi infastidiva, spesso nella mia mente trovavo mille obiezioni. Perché ci devono essere cose come conflitti di personalità, noncuranza, mancanza di considerazione, ingiustizia, pessimismo, critiche? Sono cose reali e sono sbagliate! Vorrei che cose del genere non esistessero. Se tutti, me inclusa, potessimo fare le cose nel modo giusto, la mia sarebbe una vita di beata perfezione. La perfezione, ragionavo tra me, era l’unica cosa che potesse alleviare le mie irritazioni; ma sapevo anche che non sarebbe mai potuta esistere. La vita è così. Avevo bisogno di un’altra opzione. Più ci pensavo, più mi rendevo conto che ciò che volevo veramente era che il mondo girasse attorno a me – ai miei desideri, ai miei sentimenti, alle mie preferenze, alle mie priorità. Qualcosa doveva cambiare e questa volta dovevo essere io, qualsiasi fossero le colpe altrui. Ma come? Ci avevo già provato senza riuscirci. Poi quella mattina, mentre reggevo il mio bambino, mi venne il sussurro di un pensiero: Vorresti che tuo figlio fosse perfetto fin dall’inizio? Ci pensai un po’, ma mi sono resa conto che era la cosa che meno volevo al mondo. Se fosse stato capace di camminare e correre fin dal primo giorno, non avrei mai potuto vedere lo sguardo di eccitazione e soddisfazione sul suo viso mentre faceva i primi passi; avrei perso anche quella sensazione speciale di tenerlo tra le braccia, sapendo che dipendeva completamente da me. Se fosse stato capace di parlare perfettamente dal momento in cui era nato, non avrei mai provato la gioia di sentirgli dire la sua prima parola. Se avesse saputo tutte le cose che sa un adulto, non l’avrei mai visto pieno di sorpresa davanti ad una nuova scoperta e non avrei mai avuto la soddisfazione di insegnargli qualcosa di nuovo. Avrei perso tantissime cose. No, la sua imperfezione lo rende proprio perfetto. Non lo vorrei diverso da così! Cos’è allora, mi sono chiesta, che rende la sua imperfezione diversa dalle altre imperfezioni che mi circondano? Ed è arrivata la risposta: È l’amore. Ecco cos’era! Ecco cosa mi mancava. Ecco di cosa avevo bisogno un po’ di più per tirare avanti con coraggio e allegria quando dovevo affrontare problemi che non volevo esistessero. Pensa a quante cose perderesti se tu e tutti gli altri attorno a te foste perfetti fin dall’inizio. Ti perderesti l’imprevedibilità della vita che aggiunge il senso della sorpresa; la gioia di perdonare ed essere perdonata; i forti legami di un’amicizia duratura che si formano nelle avversità; gli aspetti di carattere positivo che si formano allo stesso modo. Mi sono resa conto che aggiungere pensieri negativi ad una situazione negativa non dà mai risultati positivi. In quel momento ho deciso che avrei cercato e trovato le opportunità e le esperienze positive che si nascondono sotto la maschera dell’imperfezione. Più tardi, durante la giornata, il mio bambino non riusciva ad addormentarsi e ho deciso di approfittare di una situazione difficile per mettere in pratica la mia nuova lezione. Ho messo da parte ciò che io ero sicura che fosse la cosa migliore per lui e se nel giardino della tua vita trovi Più terra che fiori, forse hai gli occhi Puntati troPPo in basso. alza lo sguardo!per me e insieme a mio marito ho dedicato un po’ di tempo a cantare e ridere con lui. È stato un momento perfettamente felice che ci saremmo persi se quel giorno tutto fosse stato “perfetto”. Articolo originariamente pubblicato nella rivista Contatto. Usato con permesso. Di Marie Claire Circa una settimana prima del quarto compleanno di mio figlio Tristan, parlavo con lui di quanto fosse cresciuto nell’ultimo anno, di quante cose avesse imparato e di quanto io fossi orgogliosa dei progressi che aveva fatto. Poi parlammo del suo compleanno e gli chiesi cosa voleva che preparassi per la sua festa. Come ero solita fare, lasciai che fosse lui a scegliere il tipo di torta che voleva. L’anno precedente aveva scelto un torta a forma di “bruco”, poiché in quel periodo era affascinato dagli insetti. Non era stata difficile da realizzare – una fila di fette di torta tagliate a mezzaluna con una glassa lucida e coloratissima. Mi aspettavo che scegliesse anche quest’anno una torta altrettanto semplice da realizzare, così potete immaginare la mia perplessità quando lui, dopo aver consultato un libro con illustrazioni di torte fantasiose per bambini, scelse una torta con “castello e cavalieri”. Guardai il disegno particolareggiato, lessi le spiegazioni e immediatamente compresi che questa volta avevo davvero fatto il passo più lungo della gamba. Ma Tristan era deciso a volere proprio una torta “castello”, cavalieri compresi, e io volevo renderlo felice. Prima che me ne rendessi conto arrivò il giorno del compleanno e io mi accinsi a preparare la torta. Libro in mano, cercai di seguire le istruzioni nel modo migliore possibile, ma ben presto capii perché nel libro c’era solo un disegno della torta con il castello e non una fotografi a, come per gli altri tipi di torta. Tra il progetto e la sua realizzazione pratica c’era un abisso e io mi sentivo alla deriva e in pieno naufragio. La mia torta era sbilenca, la glassa non aveva una buona consistenza e le torri del castello non erano uguali tra loro né per altezza né per diametro. Non avevo trovato nessun giocattolo a forma di cavaliere e dovetti accontentarmi di una statuina Lego di un uomo a cavallo. Sentivo tanta pressione e scoraggiamento! Povero Tristan, pensai. Sarà così deluso! È così impaziente e ha parlato per tutta la settimana dei suoi cavalieri e del suo castello e ora guarda un po’ cosa lo aspetta! Sarà di sicuro infelice quando vedrà la versione del castello dei suoi sogni fatta da sua madre! Finalmente finii la torta e aggiunsi i tocchi finali alla men peggio – bandiere di carta, biscotti sui muri che avrebbero dovuto dare l’impressione di pietre ma che cadevano dagli angoli malfatti, erba fatta con scaglie di cocco e colorante che assomigliava più che altro a muschio fangoso. Avevo terminato la mia opera ma ero sul punto di piangere. Rassettai la cucina e decisi che era meglio che Tristan vedesse la torta prima, per essere preparato al momento imbarazzante in cui lui e i suoi amici se la sarebbero trovata davanti alla festa. Quando Tristan entrò in cucina, studiai la sua espressione e pregai di potere trovare la giusta cosa da dirgli per consolarlo e aiutarlo a non sentirsi troppo giù. Gli occhi di Tristan si spalancarono e, con mia sorpresa, un largo sorriso si accese sul suo volto. “Wow, mamma! È fantastica! È proprio quel che volevo!” Stavo quasi per scoppiare in lacrime. Lui si avvicinò alla torta, la esaminò in ogni sua parte e disse che era fatta esattamente come piaceva a lui. Poi corse da me, mi abbracciò, mi ringraziò e si portò una mano alla bocca, come se dovesse rivelarmi un segreto. Mi abbassai verso di lui perché potesse parlarmi all’orecchio. “Ti voglio bene!” disse, e corse via per raccontare ai suoi amici quello che aveva appena visto. Appena uscì, mi fermai un attimo a pensare a quell’esperienza. In pochi minuti avevo ricevuto una lezione che a volte ci vuole una vita a imparare. Oh, poter imparare a vedere le cose attraverso gli occhi di un bambino, pieni di fede, speranza amore e ottimismo, invece di vedere le imperfezioni! Oh poter imparare a vedere il lato buono e meraviglioso di tutte le cose! Rimasi a godermi quel momento magico il più a lungo possibile. Facendo sempre più mia la scena della torta sbilenca, seguita dal ricordo ancora fresco della dolce reazione di Tristan, chiesi al Signore di perdonare la visione negativa della vita che avevo avuto di recente e di aiutarmi a vedere le cose nello stesso modo in cui mio figlio aveva visto quella torta. Poi accadde una cosa buffa. Mentre guardavo la torta, la vidi prendere un aspetto da cartone animato e cominciò a piacermi veramente. Ma, cosa ancora più importante, piaceva a Tristan. Dopotutto era il suo compleanno. Articolo originariamente pubblicato sulla rivista Contatto. Usato con permesso. |
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